Oggi Stay. è Roy Lichtenstein che racconta il femminismo (?) occidentale nel 2023
di Paola Sireci

“My body, my choise”, peli sotto le ascelle, accanimento verso il mondo maschile e rivendicazione dei propri diritti: siamo davvero sicuri che il femminismo oggi non sia diventato un’ostentazione, più che un processo di emancipazione, convertendosi in una battaglia verso tutto e tutti, in particolare verso l’altro sesso?
In Afghanistan, prima nel 2001, poi esattamente venti anni dopo nel 2021, le donne hanno subìto una delle più grande ingiustizie a livello umano, ovvero la perdita della loro libertà e della loro dignità. Con la presa dei talebani e la caduta di Kabul molte tra esse sono dovute scappare dal loro Paese o si sono dovute piegare a un regime che le definisce semplici contenitori da non mostrare e, soprattutto, parte non integrante della società, costringendole a fingere chi non sono e mutilandole dei loro diritti e del loro essere. In Iran la situazione non cambia sostanzialmente e il la Repubblica islamica di Ebrahim Raisi reprime la voce delle donne, le uccide, le imprigiona, tortura, avvelena fino a ottenere il loro silenzio, come nel caso di Mahsa Amini, percossa, incarcerata fino alla sua morte il 16 settembre 2022, data simbolo perché rappresenta l’inizio delle proteste iraniane per combattere la repressione femminile. Come nei due Paesi mediorientali, sono tanti gli Stati ancora indietro nel processo di inclusione e sono molte le donne ancora lontane nel raggiungimento di questo obiettivo che, nel corso degli anni si è trasformato come uno yo-yo a seconda dei governi e delle guerre. Nell’Africa subsahariana, nel sudest asiatico o in sud America esse sono introdotte fin da piccole nella schiavitù moderna, definita attraverso il lavoro forzato come prostituzione ma non solo e mediante i matrimoni forzati che le destina ad abusi duraturi, atroci e a stigmi sociali importanti.
In questa complessiva - ma limitata - panoramica del mondo femminile nel mondo, è possibile che oggi i movimenti attivisti femminili nel mondo occidentali siano limitati all’accettazione del pelo incolto e alla libertà di indossare o meno il reggiseno? Seguendo l’evoluzione del femminismo dai suoi albori, fino ai giorni d’oggi, è possibile osservare quanto esso sia nato come movimento di emancipazione e affermazione di diritti necessari nel periodo storico che vede la sua nascita e in quelli successivi e relativi suo sviluppo ma che col tempo, si sia convertito in una lotta sempre più aggressiva tra le donne e il mondo. Oggi si parla di questioni importanti come diritto all’aborto, utero in affitto, parità salariale e parità di genere, temi di assoluta rilevanza che si abbandonano a manifestazioni di ostentazione, a tratti violente, che vede le donne accanite verso il sesso opposto e che, quindi, configura il fenomeno quasi patetico, estraneo alla sua vera natura.
Oggi sui social nascono pagine e profili che sfidano il patriarcato ostentando una femminilità basata su “valori” come la libertà di vestire come si vuole senza il rischio di ricevere fischi maschili, astensione dalla depilazione, libertà sessuale, libertà di mostrare i capezzoli senza reggiseno, realizzazione personale etc… . Femminismo significa parità e davvero queste tematiche riguardano la parità con l’altro sesso all’interno della società? Esiste per gli uomini parità di trattamento per quanto concerne il body shaming, la gravidanza vissuta dal loro punto di vista, il divorzio? Ci si riempie la bocca col termine femminismo, perdendo il vero valore che il movimento porta avanti da mezzo secolo, arrivando a confondere la parità di diritti civili con l’esasperazione di temi necessari nel cambiamento sociale che colpisce tutti i periodi storici ma che non sempre hanno il peso che gli viene conferito dal movimento femminista attuale.
Ovviamente ci sono questioni che ancora, che fin dagli anni Sessanta hanno il loro peso sociale e meritano una lotta verso la loro affermazione come il diritto all’aborto, l’abolizione del patriarcato, parità salariale e di diritti in generale ma, la strumentalizzazione che essi stanno ottenendo per veicolare altre tematica di minor rilevanza, sta portando la società verso una dittatura femminista in cui le donne passano da vittime a carnefici. Forse quello che dobbiamo fare è osservare i fatti sociali che ci circondano, non circoscrivendoli alla nostra singola esperienza personale e nazionale e comprendere che le battaglie che combattiamo sono finalizzate a un modo più equo in cui la voce femminile non è l’unica che conta.
Perché quest’opera
Padre della Pop Art insieme a Andy Warhol, Roy Lichtenstein rappresenta soggetti comuni attraverso un filtro che restituisce creatività. Per quanto concerne le sue opere di carattere “amoroso”, Lichtenstein rappresenta la dive e relazioni sofferenti in cui la donna costituisce la parte lesa, mentre l’uomo quella forte, immagine di una concezione relazionale che rispecchia gli anni della sua vita e produzione artistica. “In the car”, infatti è del 1963 e rappresenta un uomo e una donna su un’auto in corsa in cui l’elemento evidente è la tensione emotiva che penetra la tela attraverso gli sguardi dei soggetti: un uomo rabbioso e una donna sostenuta che sembra ignorare quello sguardo iroso. Una raffigurazione reale del femminismo occidentale oggi: un conflitto permanente tra uomo e donna in cui quest’ultima non incarna l’idea della donna debole che subisce ma, al contrario, risoluta, quasi priva di emozioni in quanto attenta, sì ai propri diritti, ma ancora di più alla loro ostentazione.