Sulla cresta dell'onda rosa
Tra tensione erotica e psicologia Egon Schiele è stato tra i primi, se non l’unico artista del Novecento, a esplorare, studiare e raffigurare il corpo femminile interpretando, attraverso la sua arte figurativa, il piacere della donna rendendo la pittura al servizio dell’espressione di qualcosa che va oltre la semplice rappresentazione. “Donna distesa”, dipinto del 1917 esposto al Leopold Museum di Vienna ha suscitato scalpore e indignazione nella società del tempo per la chiarezza espressiva e la tensione erotica del soggetto portatore di un messaggio critico verso una società bigotta in cui la donna veniva considerata priva di falsi pudori e moralismi, incapace di disinibirsi sessualmente e di assumere atteggiamenti impudici. La donna, rappresentata nella sua nudità fisica, apre gambe, braccia e seni a chi la guarda con sguardo provocante e di sfida che invita all’osservazione e all’ammirazione: un’audacia raffigurativa che non sempre corrisponde a quella reale. Come nel Novecento, anche ai giorni d’oggi la donna difficilmente viene riconosciuta come un soggetto capace di esprimere liberamente il piacere che prova per spogliarsi dei pregiudizi cui è assoggettata quotidianamente. La conseguenza di questa repressione sociale, palesata a livello personale, è la mancanza di informazione e conoscenza del proprio corpo che non sempre permette alle donne di compiere scelte consapevoli come, ad esempio, il consenso. Sesso, affetto, identità sessuale, piacere, consenso e consapevolezza del corpo sono alcuni dei temi ardenti che la società moderna tenta di trattare dal 68’, periodo culminante di emancipazione politica, sociale e femminile. Tuttavia, come allora, malgrado l’avanguardia dei tempi moderni, è difficile parlare di emancipazione sessuale, specie quella femminile, considerata un tabù o semplicemente inesistente. Fin dall’antichità preservare la verginità della donna fino al matrimonio era una forma di tutela della sua dignità. Oggi, invece, l’assenza di comunicazione con la famiglia e la scuola hanno sostituito questo retaggio cattolico trasformando i giovani in piccoli ricercatori che si formano autonomamente attraverso consigli di amici, film porno o materiale reperito sul Web. Dunque, si parla di emancipazione in termini di avvicinamento precoce alla sessualità, ma con quali consapevolezze o conoscenze sul tema, dal momento che si considera indecente l’educazione sessuale nelle scuole o in famiglia? Si parla di femminismo nel (quasi) disperato riconoscimento di diritti innati o acquisiti alla donna come il voto, parità salariale e di genere ma forse, col passare del tempo e con il potenziamento dei social network sta sfumando il concetto di femminismo ed emancipazione. Si considera un riscatto mostrarci senza trucco, senza reggiseno o con la ricrescita dei peli, ma la libertà riguarda la sfera dell’essere donna, non dell’apparire, nella nostra interezza. Probabilmente non serve che la società riconosca il piacere femminile come una forma di emancipazione dal momento che esso è insito nell’esistenza umana. Quello di cui abbiamo bisogno è conoscenza e informazione per essere Donne consapevoli, sicure e capaci.
di Paola Sireci
Godere con il corpo e la mente. Intervista podcast a Maura Gigliotti con Marzia Baldari
Express (by) Yourself
di Chiara Rebeggiani
Da ieri ad oggi il femminismo è stato un alternarsi di battaglie, vittorie, ingiustizie e di critiche. La sua evoluzione ha visto il susseguirsi di traguardi raggiunti, ma anche di battaglie perse, tutte portate avanti da figure di spicco che sono entrate nella storia e che si sono messe in discussione.
Partito in salita, il movimento femminista può riconoscere forse la sua prima esponente ante-litteram in Olympe de Gouges che nel 1791, in piena Rivoluzione Francese, parla di Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. Nella prima ondata assistiamo, quindi, ad un movimento che lotta per ribaltare le diseguaglianze sociali, politiche e giuridiche. Attraverso il suffragio femminile, le donne combattono per rivendicare il loro diritto al voto e il diritto all’istruzione.
La seconda ondata, tra gli anni Sessanta e Ottanta, mossa dai venti dell’emancipazione già forti in Inghilterra e negli Stati Uniti, arriva anche in Italia dove alla manifestazione dell’8 marzo 1972 a Roma, a Campo de Fiori, partecipano in piazza migliaia di donne “femministe” e anche molti personaggi pubblici, tra cui l’attrice americana Jane Fonda, icona dell’indipendenza femminile che ridefinisce il modo di vivere delle donne italiane contribuendo al progressivo cambio di mentalità supportato anche dalla legislazione.
La terza ondata femminista che riguarda gli anni Novanta e Duemila, possiamo definirla uno strascico della seconda come risposta a quelli che sono stati i suoi fallimenti. Anche questa volta trova l’appoggio di diverse personalità del mondo del cinema, dell’arte e della musica: ricordiamo Madonna che negli anni Novanta lancia il brano “Express Yourself”, inno al femminismo e che ancora una volta rivendica l’insubordinazione della donna verso l’uomo e l’indipendenza. Quello di cui l’arte ci parla, di cui ci racconta è frutto di un’interiorizzazione, di un’esperienza. Il vissuto nella realtà così come nell’arte è frutto dell’esperienza.
Sulla base di questo concetto è maturata l’idea di raccogliere quattro testimonianze femminili che potessero esprimere, concretamente e con leggerezza, come in generazioni diverse si è interiorizzata, con cognizione di causa o meno, l’evoluzione del femminismo.
Generazione Boomer - Lucilla: “Pur essendo molto curiosa nei confronti di questa rivoluzione, avevo già un’identità piuttosto spiccata che non mi portava a condividere il movimento, merito di un’educazione tradizionale e religiosa, affatto repressiva. Posso comunque affermare che nella storia della mia famiglia ci sono stati esempi bellissimi di donne che hanno saputo conciliare il ruolo di madri e di lavoratrici ,senza essere schiacciate dall’autorità maschile e devo riconoscere di aver avuto la fortuna di vivere in un ambito familiare che ha permesso di esprimere la propria personalità tanto che, pur riconoscendo l’importanza del movimento femminista nella costruzione dell’autonomia, non ho mai sentito la necessità di aderire al fenomeno che diventava sempre più movimento politico”.
Generazione Y- Millenial – Piera Maria: “Sono state tante le battaglie che hanno caratterizzato questo movimento, forse, le più importanti le ricordiamo nella conquista del divorzio, dell’aborto e della rimozione del cosiddetto delitto d’onore che permetteva agli uomini di assassinare la propria moglie per aver commesso adulterio. Per questo non possiamo che riconoscere a questo movimento di aver lavorato e prodotto cambiamenti di cui oggi beneficiamo tutti. Voglio però provare a muovere quella che definisco critica costruttiva e forse culturale, più che strutturale del movimento stesso e cioè che nonostante tutti i cambiamenti e le conquiste realizzate il femminismo nel suo senso più profondo ha fallito. Il fallimento penso sia riconducibile ad un punto, a mio avviso, di ordine umano. Ha fallito la possibilità di una ricerca sulla realtà umana ponendosi, invece, sullo stesso piano, soltanto all’opposto, del maschilismo”.
Maschio/Femmina, Nero/Bianco che includono esclusivamente l’esistenza di una forma tralasciando considerevolmente da parte, invece, l’esistenza di un contenuto: chi è l’essere umano? E di che cosa ha necessità per realizzare la propria identità umana? Qual è la realtà psichica di noi esseri umani? Ecco, penso che il femminismo, termine oggi per me abbastanza desueto, abbia perso una grande occasione nella storia, e cioè quella di porsi nella condizione di cercare il senso che potesse essere, poi, indossato universalmente da tutti gli esseri umani. Dove l’essere diversi è necessariamente realizzazione di identità umana e non una semplice condivisione e adesione ad una o all’altra categoria”.
Millenial- Alessia “Per me il femminismo è quel movimento che è nato per una liberazione di secoli, di millenni di silenzio di non diritti da parte di un genere intero, quello femminile. Al momento questa voce è più forte in una parte del mondo perché in un'altra parte del mondo la situazione è atroce, anche se, la parte occidentale quella che noi chiamiamo più democratica vede situazioni che non sono del tutto omogenee. Per me il femminismo è un movimento inarrestabile che non si può fermare è a mio avviso una presa di coscienza che inevitabilmente è venuta fuori. Quello che mi dispiace è che troppe volte ultimamente le rivendicazioni sociali da parte di una minoranza della società vengono visti come qualcosa che possa togliere agli altri quando invece non è così”.
Generazione Z, Post Millenial - Beatrice: “Per me il femminismo è un movimento che dovrebbe avere l'obiettivo di garantire a donne e uomini uguali diritti e opportunità. Non bisogna farsi ingannare dal significato letterale; si chiama "femminismo" perché, specialmente in origine, il genere più direttamente svantaggiato, da costrutti come il sessismo e il patriarcato, era quello femminile. Molte persone confondono il femminismo con la misandria, cioè la forma d'odio verso il genere maschile. Essere femminista non significa credere che le donne siano migliori degli uomini, ma significa lottare per l'uguaglianza tra uomini e donne in campo sociale, politico e nel quotidiano e per il superamento degli stereotipi di genere. In questi ultimi anni sono in tanti a credere, sia donne che uomini, che il femminismo sia un movimento che promuove la superiorità della donna sull'uomo. Ma l'obiettivo del femminismo è quello di migliorare e semplificare la vita delle donne. Grazie ad esso, nel tempo, le donne hanno raggiunto molti traguardi e molti diritti che prima non avevano: come il diritto di voto, diritto ad avere un conto corrente, diritto a svolgere ruoli come avvocato o magistrato e via dicendo. In molti paesi del mondo, le donne ancora vivono una pesante condizione di inferiorità: molte ragazze non hanno accesso all'istruzione, sono tenute ai margini del mondo del lavoro. Se sono sposate non lavorano, se lavorano sono sottopagate. Il ruolo sociale è strettamente legato al loro compito di mogli; in molti casi, se vengono ripudiate dai mariti, perdono ogni diritto sui figli e sono costrette a vivere arrangiandosi. Anche nei paesi più sviluppati si deve percorrere ancora molta strada per i diritti delle donne. Infatti, molto forte è ancora il problema della violenza, soprattutto domestica; i casi di mogli picchiate dai mariti sono tutt'ora numerosi. Per non parlare di stupri e molestie: quante donne, me medesima, hanno timore a girare da sole sia la mattina che la sera? A parer mio non è normale aver paura di uscire da sole. Non è normale avere timore di indossare una gonna o un vestito per paura di commenti indiscreti e inopportuni. Purtroppo, la nostra società è misogina e vede la donna come un oggetto. Spero vivamente che un giorno queste violenze e pregiudizi possano cessare, o per lo meno diminuire. Per me la violenza non ha genere, è sempre la via sbagliata, sia da parte della donna, che da parte dell'uomo”.
Soddisfatte di noi stesse
di Alessia Pina Alimonti
Nel 2020 in un video diventato subito virale, l’attrice Cynthia Nixon ha dato voce al monologo “Be a lady, they said” (Sii una donna, hanno detto), una riflessione scritta da Camille Rainville. Nel video si fa un lungo elenco di cliché che riguardano l’universo femminile. Sono nominati i luoghi comuni sull’alimentazione, quindi, seguire diete che permettano di avere un fisico snello in grado di entrare in una determinata taglia, passando agli stereotipi sulla maternità, fino alla cura del corpo tra trucco ed interventi di chirurgia estetica. Un monologo che è diventato un vero e proprio manifesto del femminismo. Nel video, inoltre, non mancano i cliché che concernono l’ambito sessuale, non a caso il testo è stato scritto a seguito della condanna di Harvey Weinstein accusato di molestie sessuali.
Tra i vari luoghi comuni citati possiamo sottolineare: “Sii una signora - dicono-. La tua gonna è troppo corta. La tua camicia è troppo stretta. Non mostrare così tanta pelle. Lascia qualcosa all'immaginazione. Non fare la tentatrice. Gli uomini non possono controllarsi. Gli uomini hanno dei bisogni. Sii sexy. Sembra attraente. Non essere così provocante. Te la sei cercata […] Ti stai lasciando andare […] Non fare la puttana. Non dormire in giro. Agli uomini non piacciono le troie. Non essere puritana. Non essere così tesa. Sorridi di più. Asseconda gli uomini. Sii esperta. Sii sensuale. Sii innocente. Sii sporca. Non essere come le altre ragazze”.
L’intento della riflessione è quello di abbattere i cliché. Usando la tecnica della contrapposizione, si vuole lanciare un messaggio di libertà ed emancipazione. Stereotipi che sono in contraddizione tra loro, in cui tutto è il contrario di tutto, dove si vieta una cosa e il suo opposto, una doppia negazione che diventa affermazione e quindi la volontà di opporsi a tutti i luoghi comuni.
Caratteristica di questi cliché è una visione androcentrica in cui il piacere femminile deve essere passato al vaglio dell’uomo. Se da un lato gli stereotipi vengono criticati e combattuti nel video, dall’altro lato, nella realtà quotidiana, è pur vero che facciamo fatica a scrollarci di dosso questi luoghi comuni e purtroppo le stesse donne sono condizionate da tali cliché. Risultato di ciò è il nascondere o addirittura la negazione del piacere da parte delle donne. Una situazione che si traduce nell’imbarazzo di parlare di certi argomenti e di conseguenza un negarsi e privarsi del piacere, perché fa timore e non lo si conosce.
Il piacere femminile dovrebbe essere un aspetto del tutto normale nella vita di una donna, ma purtroppo non è così, ci si blocca. Eppure abbiamo un organo, la clitoride, deputato esclusivamente a dare piacere, ma considerato ancora un tabù. Esempio eclatante ci viene offerto anche da Google. Se si prova a cercare “clitoride” compare l’avviso “Alcuni risultati potrebbero essere espliciti”; mentre il termine “pene” non scandalizza nessuno.
In questi termini il piacere femminile diventa così una questione, un problema, e addirittura assume i tratti dell’emergenza e della violazione dei diritti umani nel momento in cui il piacere femminile diventa qualcosa da eliminare, tagliare, ovvero la crudeltà dell’infibulazione. Si tratta della mutilazione genitale femminile. Si esegue tramite la rimozione della clitoride, delle piccole labbra e parte delle grandi labbra, successivamente si procede con la cucitura della vulva, lasciando un piccolo foro per la fuoriuscita del sangue mestruale e dell’urina. La mutilazione femminile non è una pratica medica, non ha scopi terapeutici. L’infibulazione è un’usanza che affonda le proprie radici in principi religiosi ed è praticata per lo più senza anestesia, da persone che nella maggior parte dei casi non hanno qualifiche mediche e che utilizzano anche strumenti rudimentali come ad esempio una lama di rasoio o delle forbici.
Secondo la tradizione l’obiettivo della mutilazione dei genitali femminili è quello di preservare la purezza, la verginità della donna. La pratica, infatti, viene eseguita su ragazze molto giovani, la maggior parte prima dei 15 anni. Lo scopo è duplice: impedire i rapporti sessuali e privare la donna di sperimentare il piacere femminile. Ma se i rapporti sessuali possono essere ripristinati attraverso la defibulazione (cioè alla scucitura della vulva), rimane, invece, impossibile la facoltà di provare piacere. Infatti, se la defibulazione viene eseguita dallo sposo dopo il matrimonio e quindi si rende possibile la consumazione di un rapporto sessuale, per una donna infibulata sarà sempre impossibile avere un orgasmo, proprio perché l’organo atto a ciò le è stato asportato.
Quello che emerge dalla narrazione appena fatta è una negazione del piacere femminile. Partendo da stereotipi, idee culturali o religiose il piacere femminile è considerato come sbagliato, peccaminoso o dannoso. Cambiamo punto di vista. Iniziamo a parlarne liberamente, iniziamo a farne esperienza, si tratta del nostro corpo, non lasciamo che altri influiscano su ciò che noi vogliamo fare del nostro corpo. È nostro e solo nostro, solo noi possiamo decidere. Non facciamoci intimorire da stereotipi, giudizi o commenti di altri. Non rendiamo proibito qualcosa che è assolutamente normale. Stiamo parlando del piacere, non priviamoci di qualcosa che ci rende felici, non neghiamoci la possibilità di essere soddisfatte di noi stesse.
Sulla questione in Ucraina
di Alessia Pina Alimonti
Russia e Ucraina sono in guerra, o meglio la Russia giovedì ha invaso l’Ucraina. Sulle cause del conflitto se ne è parlato e se ne parlerà molto, ma discutere sulle ragioni distoglie l’attenzione dalle conseguenze della guerra. Si dibatte sulla politica di Putin e si ragiona sulle sanzioni, ma è doveroso pensare agli effetti, alla distruzione e alla disperazione generate dalla lotta armata. Cittadini in fuga, Kiev sotto attacco, carri armati che schiacciano auto di civili. Un quadro dello scenario bellico è stato descritto dalla giornalista Francesca Mannocchi durante la puntata di Propaganda Live andata in onda venerdì 25 febbraio. L’inviata in Ucraina ha descritto la situazione nelle città: «Gruppi di militari che stanno scavando trincee, se scavano trincee qua dietro vuol dire che se non è domani è tra due giorni i russi che stanno a cento chilometri da qui arriveranno, arriveranno qui. La giornalista ha, infine, lanciato un monito: «Zelensky ha detto al paese “Armatevi! Andate a sparare per difendervi”. Quella che oggi chiamiamo resistenza potrebbe essere il seme della guerra di domani. Quando si dice alla popolazione “Armatevi e sparate” si sta seminando la guerra di domani».
In Ucraina muoiono anche i bambini, i russi hanno colpito l’ospedale oncologico di Kiev, una vittima e due feriti. Ci sono anche creature che nascono mentre esplodono missili, è la storia di Mia venuta al mondo in un rifugio antiaereo della capitale. Come glielo spieghi a una bambina che è nata durante un bombardamento?
Questa è la guerra, questi sono gli esiti devastanti del conflitto nel cuore dell’Europa.
La guerra è il fallimento della civiltà.