CONTROCULTURA. Sull’orlo di una crisi di nervi? Come la “performance society” ci ha reso più depressi e ansiosi che mai.
di Amina Al Kodsi
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Secondo l’ultimo report dell’OMS relativo alla salute mentale nel 2022, World mental health report: transforming mental health for all, le malattie mentali e neurologiche sarebbero in crescita in tutto il mondo. Le stime indicano che l’aumento dei disturbi depressivi e legati all’ansia sarebbe pari al 25% durante il primo anno di pandemia.
Un fenomeno che è stato certamente alimentato in parte dall’epidemia da Covid 19, ma che sarebbe anche un tratto distintivo di una società sempre più tecnologica e multitasking. Un celebre studio pubblicato nel 2010 dal filosofo coreano Byung Chul Han, The burnout society, ha evidenziato una correlazione fra l’ascesa di una società neo-liberista veloce e competitiva e il progressivo insorgere di disturbi psicologici come il disturbo bipolare, la depressione, l’ansia e la sindrome da deficit di attenzione (ADHD).
Per il filosofo coreano il malessere deriverebbe in primo luogo da un senso di inadeguatezza, un’incapacità di sfruttare a pieno la nostra condizione di uomini liberi. Una tesi precedentemente sviluppata dallo psicologo Barry Schwartz che, in un TED talk del 2005, The paradox of choice, spiega come la libertà di scegliere non ci renda necessariamente più liberi e felici, ma come questa possa spesso produrre sull’uomo moderno un effetto paralizzante.
A quanto pare il gerarchico e rigido immobilismo di società più arcaiche, che precludevano ai diversi ceti qualunque possibilità di riscatto sul piano sociale e lavorativo, poteva generare certamente più frustrazione, ma non diveniva la matrice di quel senso di inadeguatezza che l’uomo moderno spesso prova nei confronti di una società sempre più complessa e sfuggente. Una società che sembrerebbe offrire infinite opportunità di rivalsa e di crescita sia umana che professionale, ma nella quale spesso si fa fatica a trovare una propria dimensione.
Alienazione ed inadeguatezza sarebbero quindi fenomeni prettamente moderni e, secondo Byung Chul Han, la rivoluzione digitale non avrebbe fatto che esacerbarli. Con l’avvento della tecnologia e dei social, che hanno letteralmente invaso le nostre vite, si è venuta a consolidare quella che Han definisce la performance society. Una società in cui ci sentiamo a tal punto costantemente osservati e giudicati dagli altri, da interpretare quasi il ruolo di attori delle nostre stesse vite. Questa società dell’apparenza, oltre a generare un’incapacità a gestire le emozioni negative, vista l’urgenza di rendere ogni momento della nostra vita perfetto e “instagrammabile”, genera quella che potremmo definire una vera e propria ansia da prestazione.
Per paura infatti di non risultare abbastanza interessanti agli occhi dell’altro, dal quale ci sentiamo incessantemente spiati, cerchiamo di occupare ogni momento libero delle nostre giornate, mostrandoci affaccendati tra mille hobby e attività disparate. Eppure questa capacità di gestire diverse situazioni contemporaneamente, questo essere multi tasking, non sarebbe affatto sinonimo di progresso, ma addirittura di regressione. Secondo il filosofo coreano quest’attitudine, tutt’altro che edificante, sarebbe molto simile ad una pratica di sopravvivenza che ci accomuna agli animali selvatici che vivono nel deserto. “In natura, l'animale è costretto a dividere la sua attenzione tra varie attività. Ecco perché gli animali sono incapaci di immersione contemplativa.” Questa per Han rappresenta la più grande sconfitta dell’Occidente, un evidente segno della sua povertà spirituale, ovvero l’incapacità da parte dell’uomo occidentale di concedersi dei momenti di contemplazione e riflessione dedicati al non-fare. E in effetti, al termine di una lunga e stressante giornata, credo siano davvero in pochi coloro che riconoscono l’importanza di dedicare del tempo a sé stessi, anche indulgendo in un sano e rigenerante ozio. Siamo piuttosto inclini ad associare al benessere ed al relax attività come il binge watching di serie televisive su Netflix e il doom scrolling sui social media. Abitudini malsane che, pur producendo un momentaneo effetto rilassante, non fanno che contribuire alla creazione di un pericoloso circolo vizioso che si ripercuote negativamente sul nostro benessere psico-fisico.
E allora, qual è la soluzione? Staccare tablet e cellulari, sfuggendo alle pressioni di chi ci vorrebbe sempre connessi e reattivi agli stimoli derivati da un eccesso di tecnologia. Dedicarsi a puri momenti di inattività, senza sensi di colpa. In una società neo-liberista che ci vorrebbe sempre iper-produttivi, il vero atto rivoluzionario è non fare assolutamente nulla.