Separazione e divorzio: la voce degli uomini
Illustrazione di Andrea De Santis
Cosa accade quando una relazione sentimentale finisce? Quando un matrimonio giunge al termine cosa rimane? I coniugi prendono atto di ciò in modo pacifico o inizia il conflitto con avvocati e assegni di mantenimento?
In questa edizione di Stay. abbiamo voluto esaminare la tematica del divorzio dal punto di vista degli uomini. Siamo partite dall’analisi psicologica di come gli amori si frantumano, per proseguire con un approfondimento che spiega le conseguenze della separazione e le problematiche affrontate dalla parte maschile.
Il sistema del cosiddetto mantenimento è un meccanismo che a ben vedere “offende” entrambi gli ex coniugi. Si parla tanto di pari opportunità, ma frequentemente ci si sbilancia a garanzia della parte femminile, beneficiaria dell’assegno anche in mancanza di figli da mantenere. Alcuni uomini, ad esempio, si vedono costretti a versare alle ex mogli assegni divorzili talmente alti da ridurli in una situazione al limite della povertà. Dal lato opposto, le donne si trovano a ricevere assegni perché su di esse gravano problemi come un mercato del lavoro in cui si preferisce assumere uomini, o l’eterna questione della parità salariale (lontana dal concretizzarsi). Riassumendo: se gli ex mariti pagano uno scotto alto per la precarietà della propria ex moglie, lo dobbiamo ad una società ancora fortemente patriarcale, nella quale le possibilità economiche delle donne sono ancora sotto dimensionate ed inferiori a quelle degli uomini.
Il divorzio, quindi, mette in luce contraddizioni e problematiche endemiche dalla società. I risvolti negativi di una separazione sono l’esempio di come non siamo ancora arrivati a una vera parità, viviamo ancora in una società in cui non c’è uguaglianza ma c’è sempre una parte che prevarica l’altra.
Alessia Pina Alimonti
Ti abbandono oppure no?
il podcast di Marzia Baldari
Le urla silenziose degli ex-mariti
di Paola Sireci
Un cuore diviso in parti uguali, arredamento lasciato in ordine e intatto, stessi spazi, abbigliamento complementare, e stessa in-espressività. Davvero le separazioni tra coniugi sono così apparentemente tranquille e sincronizzate? Andrea De Santis, illustratore bresciano freelance, nella sua illustrazione Divorce, con colori vivi e contrastanti e uno stile narrativo chiaro e asciutto (cifra distintiva dei suoi lavori realizzati per editori italiani e stranieri), rende visibile e tangibile la tensione tra due coniugi sull’orlo della separazione, tra ingiustizie, conflitti d’interesse e battaglie interiori, chiusi l’uno verso l’altra con i rispettivi animali domestici che vigilano sulle loro scelte, simboleggiando la rivendicazione dei propri spazi e – forse – dei propri diritti. Un’immagine attuale delle relazioni che restano a galla nonostante i problemi quotidiani, ma che assume un significato più austero e diretto se declinato in quelle situazioni in cui i contrasti diventano punto di approdo di una relazione.
Quanto la separazione tra marito e moglie è dolorosa? Cosa comporta a livello legale, relazionale ed emotivo? Ma, soprattutto, chi paga maggiormente le conseguenze della guerra al cuore più ferito, spesso spezzato da frecce lanciate da terzi?
Secondo un’indagine ISTAT del 2009, al seguito di una separazione, le donne ricoprono maggiormente il ruolo di genitore unico, rischiano la soglia di povertà più alta, tornano a vivere a casa dei genitori con i figli, trascorrendo con loro più tempo rispetto agli uomini, quest’ultimi sempre di più considerati i carnefici in tutte le situazioni conflittuali.
“È stato tutto consensuale, da parte mia molto accondiscendente dato che ero in torto in quanto innamorato di un’altra donna”, “Ho sempre contribuito economicamente di mia spontanea volontà”, “In sentenza ho dovuto concedere alla mia ex moglie soltanto 200 euro in quanto risultava in possesso di reddito, ma io le ho sempre versato 1000 euro finché i nostri figli non sono diventati indipendenti”, “La prima notte dopo il divorzio l’ho passata in macchina, qualche giorno in albergo, poi ho affittato un monolocale per un paio di anni e poi mi sono trasferito in una casa di famiglia che si è liberata da inquilini in affitto”, queste sono alcune delle testimonianze raccolte da ex-mariti, padri e uomini reduci dalla separazione in termini legali.
Non sempre si parla di separazioni turbolente, fatte di battaglie all’ultimo sangue con avvocati agguerriti e senza scrupoli: talvolta le coppie che decidono di scendere al capolinea del loro matrimonio lo fanno in modo pacifico e consensuale senza la voglia e la necessità di distruggere colui che è stato il suo amante, confidente e compagno di vita.
Si designa il genere maschile perché nonostante la giurisprudenza regoli la legge sul divorzio in favore del soggetto “più debole”, esso equivale – purtroppo – sempre alla donna che possiede, in ambito lavorativo e redditizio, una condizione più precaria rispetto all’uomo. Per questa ragione, fino al 2017 la giurisprudenza regolava la cessazione e lo scioglimento dei diritti civili del matrimonio mediante la legge 898 del 1970, attualmente ancora in vigore, che però ha subìto delle integrazioni attraverso delle sentenze nel corso degli anni. Il principio base della normativa in materia di divorzio si sintetizza negli articoli 5 e 6, nei quali si determina un corrispettivo periodico da erogare al coniuge più debole economicamente al fine di mantenere lo stesso tenore di vita vissuto durante il matrimonio. Questi due punti sono stati superati attraverso alcune sentenze in materia: la prima, della Corte Suprema di Cassazione n. 18287/2018, stabilisce la presenza di alcuni fattori che permettono l’erogazione dell’assegno divorzile solo in contesti che rendono impossibile un’indipendenza economica. La seconda sentenza (n. 11504 del 10 maggio 2017 della Cassazione), invece, ha totalmente rivoluzionato il principio patrimoniale che attuava l’assegno di mantenimento, affermando che “il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale”.
Allora perché continuano a esserci situazioni – la maggior parte – nelle quali le donne dipendono dai loro ex mariti, in quanto percipienti sì di un reddito sì inferiore, ma che comunque assicura loro indipendenza economica?
Quando si parla di pari opportunità si evince parità nei diritti ma, nonostante ciò e nonostante le recenti sentenze in materia di divorzio volte ad assicurare la giustizia economica ad entrambe le parti, spesso gli uomini sono vessati da pesanti misure, costretti a versare alte somme di denaro alle ex-mogli anche senza la presenza di prole che giustificherebbe tale mantenimento.
Molto spesso si parla degli effetti devastanti che le separazioni hanno sui figli e sulle donne che se ne prendono cura, spesso confrontandosi con padri assenti o nullafacenti. Ma quante volte è capitato di cambiare punto di vista e volgere lo sguardo verso gli uomini?
Secondo il rapporto della Caritas del 2014, ottantamila uomini divorziati con figli si trovano sulla soglia della povertà, al seguito della ricerca di una nuova dimora in cui abitare che spesso comporta un ulteriore dispendio economico. Uomini che mantengono loro stessi, le loro ex-mogli e, giustamente, i figli quando sono presenti. In questo marasma economico quanto spazio c’è per la vita sociale e, nello specifico, per la ricostruzione della vita privata magari con un’altra donna?
Da studi recenti riportati nell’articolo The influence of divorce on men’s health di Daniel S. Felix, W. David Robinson e Kimberly J. Jarzynka (Journal of men’s health, marzo 2013) si evince, infatti, quanto sia difficile (anche) per gli uomini sul piano psicologico, relazionale ed emozionale, affrontare una separazione e il periodo successivo ad essa, rischiando – con maggior frequenza rispetto alle donne – di cadere in gravi disturbi e dipendenze.
E qui torniamo all’immagine scelta per questa edizione. A differenza di quanto riportato da Andrea De Santis, non sempre uomini e donne, mogli e mariti, padri e madri vivono la separazione allo stesso modo come “una casa divisa in due”, sia in termini economici sia personali. Un divario ancora molto accentuato da una società in cui le pari opportunità sono considerate unilateralmente, tenendo conto solo del punto di vista femminile. In una società che marca ancora tanto queste differenze di genere in più aspetti della vita sociale, qual è lo spazio riservato alla giustizia e all’integrità morale?
Alla scoperta di realtà poco conosciute. Analisi dell’immediato presente. Curiosando nel tempo libero.
Fatti, e non, che ci piace sapere.
Dopo aver modificato una canzone per un termine offensivo, Lizzo è «Special».
di Chiara Conca
È bastata una parola. Una sola parola e il mondo della musica è stato, ancora una volta, investito da una bufera mediatica. Questa è la volta di Lizzo, cantante e rapper americana, famosa, oltre che per i suoi brani, per essere una promotrice della body positivity. Il testo del suo ultimo pezzo, uscito lo scorso 10 giugno, tuttavia, ha fatto pensare tutt’altro a molti ascoltatori che non hanno esitato a rivoltarsi contro la cantante.
Hold bag, b*tch / Hold my bag / Do you see this sh*t? Hold me back / I’ma spazYo, where my best friend? She the only one I know to talk me off the deep end
La parola incriminata, spaz, in apertura, è l’abbreviazione del termine offensivo spastic, che significa letteralmente “spastico”, “handicappato”.
Hannah Diviney, sostenitrice per i diritti delle persone con disabilità, affetta da diplegia spastica, è stata fra le prime ad aver criticato sui social la scelta della cantante. «La tua canzone mi rende arrabbiata e triste – ha twittato –. Spaz non significa impazzito o pazzo. È un insulto contro le persone affette da disabilità. È il 2022. Fai di meglio». Evidentemente, le parole dell’attivista e di migliaia di fan sono state sentite. La cantante, infatti, invece che lamentarsi per una “cultura di censura”, il 14 giungo ha pubblicato su tutti i suoi canali social delle scuse pubbliche:
È stato portato alla mia attenzione che nel mio ultimo singolo “GRRRLS” c’è una parola offensiva. Permettetemi di chiarire una cosa: non ho mai avuto intenzione di promuovere un linguaggio dispregiativo. Come donna nera e in sovrappeso in America, sono stati spesso usati molti termini offensivi nei miei confronti, quindi capisco più di chiunque altro il potere che possono avere le parole (sia se utilizzate intenzionalmente che involontariamente, come nel mio caso). Sono fiera di annunciare che c’è una nuova versione di GRRRLS, con un testo cambiato. Ho ascoltato le vostre parole e ho deciso di agire. Essendo un’artista influente, ho deciso di essere parte del cambiamento che aspetto di vedere nel mondo.
Se da un lato l’utilizzo improprio di questo termine ha scatenato i commenti critici di alcuni, altri si sono schierati dalla parte della cantante, sostenendo che nello slang afroamericano la parola non ha un’accezione negativa e offensiva. Spaz, di fatti, sarebbe usato per esprimere la perdita del controllo emotivo e/o fisico, proprio come inteso dall’artista.
Fatto sta che da lunedì 13 giugno, come annunciato dalla stessa Lizzo sui suoi canali social, la versione originale del singolo è stata sostituita da una nuova, in cui il termine incriminato è stato sostituito da “hold me back”.
A giudicare dalle reazioni dei fan sui social media, si direbbe che lo “scivolone” – seppur involontario – della cantante sia stato perdonato. La stessa Diviney ha twittato:
«Mi viene da piangere! Grazie mille per averci ascoltati, per esserti dimostrata aperta a imparare, vuol dire tutto. Sei una vera alleata».
Nel frattempo, il 15 luglio è uscito l’ultimo album della cantante, Special, una celebrazione del corpo in tutte le sue forme e peculiarità.
Che lo si veda come l’ennesimo episodio di perbenismo o come un’azione corretta, quello che possiamo dire è: tutto è bene quel che finisce bene!
Un Europeo da professioniste, le novità nel calcio femminile
di Alessia Pina Alimonti
L’estate 2022 sarà l’estate degli Europei di calcio femminili. Dal 6 al 31 luglio in Inghilterra 16 Nazionali si sfideranno per aggiudicarsi la 13ª edizione del torneo. Un Europeo che risente anche delle sanzioni a seguito della guerra in Ucraina. La Nazionale russa, seppur qualificata, dopo la decisione della UEFA, è stata sospesa dalla competizione e sostituita dal Portogallo. Tra le squadre partecipanti c’è anche l’Italia. Le Azzurre, guidate da Milena Bertolini, fanno parte del girone D insieme a Belgio, Islanda e Francia. Sarà proprio contro Les Bleues che esordirà l’Italia domenica 10 luglio a Rotherham.
Il calcio femminile sta acquisendo sempre più partecipazione e visibilità, crescono gli appassionati e non ha nulla da invidiare alla compagine maschile, anzi, la Nazionale femminile italiana si è dimostrata superiore. L’esempio più eclatante è stato l’ultimo Mondiale. Gli Azzurri, con la disfatta del ct Ventura, non sono riusciti a qualificarsi ai Mondiali 2018 e, purtroppo, nemmeno a quelli in Qatar in programma tra novembre e dicembre 2022. La nazionale femminile, invece, nel 2019 ha disputato un dignitosissimo torneo, arrivando ai quarti e arrendendosi per 0-2 nel match contro l’Olanda, Oranje che, però, persero la finale con gli Stati Uniti.
C’è, in verità, un aspetto che il calcio femminile invidia a quello maschile, ovvero il professionismo. Nonostante il successo e la crescita del calcio femminile, alle atlete non è ancora riconosciuto il diritto di essere professioniste come possono esserlo gli uomini. Un divario che porta con sé disparità salariale e una serie di diritti negati alle calciatrici. Questa situazione, però, sta cambiando. Dal 1° luglio 2022, il calcio femminile in Italia diventa professionistico. Si è concluso ad aprile l'iter iniziato nel 2020 con l'approvazione in Consiglio Federale delle ultime norme disciplinari.
Si tratta di una svolta in direzione dell’abbattimento di stereotipi e disparità di genere. Le nuove norme che disciplinano l'attività e l'esercizio del professionismo del calcio femminile fanno sì che alle atlete sia garantito il riconoscimento delle tutele lavorative, previdenziali e assicurative previste per i lavoratori e quindi al pari dei propri colleghi calciatori. Per fare un esempio, prima del passaggio al professionismo le calciatrici non potevano nemmeno versare i contributi. Le atlete, inoltre, potranno avere un minimo salariale pari a quello dei calciatori di Serie C (l'Assocalciatori e la FIGC hanno fissato il salario minimo sulle cifre già previste per la Serie C maschile a 26mila euro lordi all'anno). Questa novità, però, non ridurrà le differenze di peso tra gli stipendi maschili e quelli femminili. I calciatori continueranno a guadagnare molto di più rispetto alle calciatrici.
È l’inizio di un percorso lungo lento e graduale che deve continuare ed essere d’esempio per le altre Federazioni. Tutto l’iter per arrivare al professionismo nel calcio femminile è iniziato nel 2020 e solo dopo due anni si cominciano a vedere i primi risultati. Nonostante le novità introdotte, l’Italia resta indietro rispetto ad altri paesi europei, dove il calcio femminile è molto più seguito, conta più tesserati ed è sostenuto da sponsor; per non parlare della situazione negli Stati Uniti in cui la Nazionale di calcio femminile ha ottenuto la parità salariale con la squadra maschile.
Sara Gama e compagne affronteranno gli Europei con una consapevolezza in più, quella di partecipare da professioniste. In campo già ci avevano dimostrato il loro valore e la loro professionalità, ora sono professionali anche per legge.