Oggi Stay. è René Magritte che analizza il diritto all'aborto. Diritto di chi?
di Paola Sireci
Il 4 marzo 2024 la Francia diventa il primo Paese al mondo nella Storia a introdurre in Costituzione il diritto all’aborto. In particolare, all’articolo 34 viene integrata la seguente modifica: “la legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di far ricorso ad un’interruzione volontaria della gravidanza”. La Francia, ancora una volta, conferma il suo spirito libero e la sua natura rivoluzionaria, dando voce a quelle cause nobili che riguardano i diritti umani: dalla Rivoluzione Francese al diritto costituzionale all’aborto, i francesi hanno quasi sempre avuto la certezza di avere uno Stato che ascolta la loro voce e la traduce in legge, in cambiamento. È così anche per gli altri Paesi, in particolare per l’Italia? Tutti conosciamo la risposta sebbene, ripercorrendo la storia del nostro Paese, sono tante le battaglie vinte, diventate legge, che lo hanno reso sempre più democratico - basti pensare al ‘68 - , malgrado le evoluzioni degli ultimi anni, con l’affermazione della Destra che sta facendo implodere l’Italia verso sfumature appartenenti ai regimi del secolo scorso: squadrismo, interventismo, censura, propaganda, promozione dei valori tradizionali che si traducono, automaticamente, nell’assenza di leggi per tutto quello che concerne il cambiamento e il progressismo.
Eppure, questa retrocessione che sta colpendo la Storia degli ultimi anni è, in primis, causata dall’assenza dello Stato nell’accompagnare i cittadini verso un cambiamento radicale della società e, in secundis, dalla società stessa che, nel tentativo di promuovere idee progressiste ed emancipazione, sta facendo l’effetto opposto, ovvero il ritorno all’Inquisizione. Il politically correct che investe tutti gli ambiti sociali è maschera dell’ipocrisia e sta instaurando – o lo ha già fatto – una dittatura perbenista che vede le donne al centro del movimento.
Essere uomini nel 2024, infatti, non è facile. Un uomo deve stare attento a quello che dice, come lo dice, non deve fare complimenti a una donna perché potrebbe offendersi, ma se non lo fa, viene visto come una persona che ha poca considerazione del sesso opposto - in ogni caso viene accusato di misoginia -, deve entrare a punta di piedi nel trattare tematiche importanti come il divorzio o l’aborto che, guarda caso, lo coinvolge al 100% tanto quanto le donne nonostante non venga considerato parte centrale. E il “sesso debole”, in tutto questo, prende potere, manifesta per cause assolutamente nobili che sono il risultato dei residui di una società patriarcale che ha caratterizzato tutto il dopoguerra e che ha visto una rottura con i moti del ’68 , coinvolgendo le donne in primis. Loro oggi prendono in mano battaglie lasciate in sospeso e non hanno paura di dire quello che pensano e quello che vogliono. Eppure non è mai abbastanza. La corsa per la – legittima – parità di diritti è a senso unico dove si combatte, sì, per ottenere la parità di genere ma affondando il sesso maschile.
Basti pensare all’arte, per esempio. Il cinema degli ultimi anni rappresenta donne forti, indipendenti, emancipate e uomini inetti, violenti, dipendenti e incapaci di amare. “Povere creature”, candidato agli Oscar e vincitore del Premio per la migliore attrice protagonista a Emma Stone, attraverso scenografie fantastiche e costumi colorati, con un tocco di assurdità, racconta la storia di una giovane donna frutto di un esperimento medico che, arrivata all’adolescenza celebrale, decide di allontanarsi dalla famiglia alla scoperta del mondo, non considerando che avrebbe dovuto fare i conti con il male del mondo e con le emozioni, attraverso un atteggiamento deciso, emancipato e audace. Questo film è il manifesto del femminismo moderno ed è per questo che alle donne piace – e anche agli uomini -. Quello che, tuttavia, a fatica si considera è la rappresentazione svilente dell’uomo: dipendente, violento, debole e accondiscendente di fronte al potere femminile. Il paradosso è che, per quanto questo film abbia ipnotizzato uomini e donne, a queste ultime non piace questo prototipo maschile, eppure piace questa rappresentazione che non vede parità, bensì dominazione, prevaricazione di un genere sull’altro.
Se questa è il risultato della battaglia che donne e uomini stanno conducendo, allora bisognerebbe porsi delle domande sulla natura di alcune espressioni fondamentali oggi utilizzate più che mai nel linguaggio comune: femminismo, emancipazione, diritti, patriarcato, violenza.
Quanta voce in capitolo hanno gli uomini in questioni fondamentali come il divorzio, il mantenimento, l’affidamento dei figli o l’aborto? Oggi questi sono argomenti importanti che riguardano la coppia ma che prendono in esame prevalentemente il punto di vista femminile e, in questo, anche la comunicazione contribuisce alla costruzione dell’immagine negativa dell’uomo. Il documentario “Unica” con protagonista Ilary Blasi e che è volto a rappresentarla come la parte lesa di un matrimonio di cui abbiamo ascoltato una sola voce, oppure la famosa pubblicità dell’Esselunga in cui centrale è la pesca che una bambina consegna alla madre – con cui vive – facendole credere che sia il padre a mandargliela. Una perfetta costruzione della dinamica “separazione in cui l’uomo deve farsi perdonare dalla donna per la fine della relazione”.
La parità, e il conseguente superamento di genere in favore della donna, quindi, si esplicita trasversalmente nella società, soprattutto nella linea di pensiero. Il diritto all’aborto, ad esempio, a chi appartiene? Alle donne o alla coppia? Lo slogan presente in tutte le manifestazioni decantato dalle donne “il corpo è mio” rappresenta un grande diritto ed è giusto farlo presente a una società che spesso le considera oggetto, contenitore ma, allo stesso tempo, costituisce un grande limite per certi versi. Contestualmente all’aborto, ad esempio, la questione è molto più complessa rispetto alla linea di pensiero secondo cui alla donna spetta l’ultima parola in quanto il corpo è suo, di fatto concetto vero. Ma quanto è importante la parola dell’uomo nella decisione sulla prosecuzione o meno della gravidanza? Si prende in considerazione solo in caso di non interruzione e, quindi, per il riconoscimento e il relativo mantenimento? La legge, da questo punto di vista, è chiara e dalla parte delle donne, sebbene la Cassazione con la sentenza 13880/2017 sostenga il contrario, a seguito della causa di un uomo che non voleva riconoscere la paternità in quanto non ricordava di aver avuto un relazione con la donna gravida. La Corte di Cassazione, oltre a confermare la sentenza d’appello, ha rigettato le censure di incostituzionalità mosse dall’uomo, precisando che “le situazioni della madre e del padre non sono paragonabili, perché l’interesse della donna ad interrompere la gravidanza o a rimanere anonima non può essere assimilato all’interesse di chi, negando la volontà diretta alla procreazione, pretenda di sottrarsi alla dichiarazione di paternità naturale”. Dunque il padre ha l’obbligo di riconoscere il figlio e di non sottrarsi al test del DNA, mentre la madre, oltre a poter ricorrere all’aborto (nelle modalità previste dalla legge), ha il diritto al parto anonimo e a non far conoscere le sue generalità sino alla morte.
Condivisibile o meno, resta il fatto che l’uomo, in questo senso, abbia meno libertà rispetto la donna e quest’ultima, sapendolo, sfrutta la legge a suo favore, portando avanti la sua battaglia per maggiori emancipazione e parità, a scapito di un uomo che, invece, in questa circostanza come in altre, è in balìa della legge e delle donne. Oggi, quindi, il sesso debole è quello maschile e probabilmente ne è consapevole ma non ha gli strumenti e il supporto per poter contestare quelle disuguaglianze che lo mettono in una condizione di subordinazione rispetto la donna. Uno scenario, divertente, paradossale e forse, distopico.
Perché quest’opera?
Una donna che ripara un uomo dalla pioggia. Oppure che è la causa della pioggia? In questa tela di Magritte, esponente dell’arte surrealista, l’interpretazione è abbastanza libera eppure, gli sguardi dei protagonisti sono ben chiari: lo sguardo provocante, audace della donna e quello accomodante, allineato dell’uomo. Sembra apparentemente una condizione paritaria ma la realtà è che la donna sta sopra l’uomo, lo sovrasta, lo fagocita e, perché no, lo manipola mascherandosi da ombrello. Riparo o inghiottimento?
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