Oggi Stay. è Mohammed Salem, che racconta come l'Occidente vuol vedere la guerra
di Paola Sireci
“Una foto non va scattata solo con l'occhio; dovrebbe avere un significato nel cuore”
Così afferma Mohammed Salem, fotoreporter palestinese vincitore della Word Press Photo of the year 2024 con la sua foto “La pietà di Gaza”, scattata il 17 ottobre 2023 e rappresentativa dell’ultimo scontro cruento arabo-israeliano iniziato il 7 ottobre 2023. Classe ’85, Salem avvia la sua carriera come reporter sportivo durante un campionato di tennis a Dubai e, da quel momento, prende consapevolezza del fatto che la fotografia non riguardi solo la politica bensì tutte le sfere della vita quotidiana e infatti nella sua carriera ha coperto vari eventi di cronaca internazionale, come le elezioni presidenziali in Egitto. Si laurea in comunicazione all’Università di Gaza ed entra a far parte della nota agenzia di stampa internazionale Reuters nel 2003 con cui ancora oggi collabora. Un occhio sensibile riguardo la cronaca bellica di Gaza contraddistingue la sua fotografia da quelle dei suoi colleghi, complice il fatto che sia nato quando il conflitto era nel cuore del suo sviluppo, tanto da appassionarsi alla fotografia fin da ragazzo, spinto dai suoi fratelli e seguendo i fotografi professionisti stranieri che lavoravano nella Striscia di Gaza.
E in effetti, visitando il portfolio di Mohammed sul sito Reuters, sofferenza, crudeltà, rassegnazione e rabbia sono le emozioni dominanti che permeano le sue fotografie e che, sia da un punto di vista tecnico, quanto emotivo rappresentano quella realtà quasi distopica caratterizzante la Striscia di Gaza dal 1948 e negli ultimi sette in modo più che mai potente. L’ultima fase di questo conflitto, cominciato il 7 ottobre 2023 può essere considerata, infatti, una delle disfatte più cruente di questo conflitto con conseguenze irreparabili.
Macerie, volti in lacrime, padri e madri disperati con i cadaveri dei figli in braccio, corpi esanime e deperite di bambini, feretri ammassati pronti per la sepoltura, manifestanti che protestano contro l’occupazione israeliana, tendopoli sfollate e bombe che cascano dal cielo sulle città palestinesi sono le immagini più ricorrenti nella fotografia di Salem, tanto da premiarlo per la prima volta al World Press Photo of the year 2010 con una fotografia che raffigura Gaza durante il bombardamento del 2009 con le bombe al fosforo, per la prima volta sganciate e utilizzate dall’esercito israeliano.
"Mi piace questa foto che mostra le bombe al fosforo bianco lanciate da Israele durante la guerra a Gaza nel 2009. È la prima testimonianza dell'uso di queste bombe e ha anche vinto il premio World Press Photo nel 2010."
Anche quest’anno, a distanza di 14 anni, Mohammed Salem conserva il podio nel concorso mondiale di fotogiornalismo più celebre al mondo. La World Press Photo è un’organizzazione no-profit sita ad Amsterdam, fondata nel 1955 che ogni anno ospita nella capitale olandese il concorso di fotogiornalismo in cui le foto vincitrici vengono assemblate in una mostra itinerante in 40 Paesi. E la foto simbolo di questa edizione è “la Pietà di Gaza”, scattata il 17 ottobre 2023, a pochi giorni dall’inizio del conflitto, che raffigura Inas Abu Maamar, 36 anni, donna palestinese che abbraccia il corpo senza vita della nipote Saly di 5 anni, uccisa in un attacco israeliano, all'ospedale Nasser di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza. "Ho perso la coscienza quando ho visto la ragazza, l'ho presa tra le braccia", ha detto Inas. "Il medico mi ha chiesto di lasciarla andare... ma io ho detto di lasciarla con me.".
Una fotografia che racconta la storia di Inas e di migliaia di palestinesi che hanno vissuto e vivono il dolore, non solo della perdita, ma della progressiva e crudele tortura disumana che il proprio popolo sta vivendo e che passa impunito dal mondo intero e dai media, in primis. Un dolore, una frustrazione, una rabbia e una fame di vendetta che questa fotografia, seppur molto simbolica, rappresentativa e forte, non trasmette.
Un’immagine rappresentativa, se non sapessimo il retroscena, di una donna che avvolge con un abbraccio doloroso un corpicino senza vita avvolto in un lenzuolo, di cui però non conosciamo la storia e la tensione emotiva, sociale, culturale e geografica. Quindi, seppur stilisticamente e oggettivamente sia una fotografica ricca e intrisa di significato, non rende giustizia e non dà un’immagine reale e viva del genocidio a Gaza di cui siamo testimoni da sette mesi, nonostante i media nazionali stiano proteggendo Israele dal riprodurre immagini che facciano vedere il massacro verso i civili palestinesi. Dunque “La pietà di Gaza” a prima vista è sicuramente incisiva, forte e tecnicamente perfetta e trasforma il dolore in bellezza, ma probabilmente questa volta far fare il giro del mondo a un’immagine cruda, vera e attuale della carneficina per mano dell’esercito israeliano, avrebbe aiutato a smuovere le coscienze delle persone che non vogliono vedere e che sanno quanto potrebbe essere scomodo mostrare la realtà cosi com’è senza quell’ovatta ipocrita dei media. Ma questa è l’immagine che all’Occidente approva, perché mostra visivamente quel politically correct che tanto piace e che palesa, sì, una fetta di storia importante che non può essere trascurata in quanto “evento dell’anno” ma in modo smorzato e ammorbidito, come a noi occidentali piace, per paura di poter turbare l’animo umano.
La giuria del concorso ha selezionato le foto vincitrici tra 61.062 proposte di 3.851 fotografi provenienti da 130 paesi e a proposito ha affermato che è stata "composta con cura e rispetto, offrendo allo stesso tempo uno sguardo metaforico e letterale su una perdita inimmaginabile" e il membro della giuria Fiona Shields, responsabile della fotografia presso Guardian News & Media, che la fotografia è "profondamente toccante", in quanto metafora della sofferenza che i civili stanno vivendo.
Rickey Rogers, redattore globale per immagini e video della Reuters, ha detto durante la cerimonia ad Amsterdam che Mohammed ha ricevuto la notizia del premio WPP con umiltà, sostenendo che questa non è una foto per festeggiare, ma che apprezza il suo riconoscimento e l'opportunità di pubblicarla a un pubblico più ampio", sperando che “con questo premio il mondo diventi ancora più consapevole dell'impatto umano della guerra, soprattutto sui bambini”, sottolineando soprattutto quanto il lavoro del fotoreporter sia altamente pericoloso e quanto costi la vita a molti professionisti. 99 sono i giornalisti e impiegati nei media che hanno perso la vita dal 7 ottobre durante il loro attivismo nei territori bellici, con lo scopo di mostrare le atrocità che si stanno susseguendo negli ultimi mesi; alla luce di questo dato è fondamentale porsi una domanda: è giusto che il fotogiornalismo offra uno sguardo metaforico sul mondo oppure deve farlo in modo letterale, diretto e crudo avallando quella pornografia del dolore tanto discussa? E soprattutto con quali finalità?
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