Oggi Stay. è Jaques Luis David, che racconta il body shaming maschile, ignorato a causa di quello femminile
di Paola Sireci
Donne, parlo a voi: quante volte ci è capitato ammirare, quasi ai limiti dell’indecenza, un corpo maschile, per la sua avvenenza, virilità e nudità su piattaforme social come Instagram o TikTok? E, per rincarare la dose, condividere con le nostre amiche video di Babbo Natale sexy, cuochi sexy, mariti sexy, attori, cantanti e uomini rappresentati in qualsiasi ruolo che seducente? Perché, diciamocelo chiaro, alla vista di un bel vedere chiunque, uomini e donne, tira fuori il proprio lato più spudorato manifestato, nel caso dei social, con commenti audaci.






La stessa gentilezza espressa dalle donne verso sex symbol padroni dei social network, non è destinata a uomini con un accenno di normalità fisica, parafrasata nel mondo dell’intrattenimento, difetto fisico che, sebbene siano in un primo momento apprezzati per un cenno di pancetta – considerata sexy e preventiva per il tumore alla prostata – ambiscono all’uomo esteticamente perfetto, usando lo stesso metro di paragone degli uomini verso le donne. Perché, in fondo, la verità è che la bellezza è soggettiva e ci si riempie la bocca con espressioni come “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace” ma, alla fine, tutti sono alla ricerca di quei canoni estetici apparentemente perfetti che fanno leva sulle nostre pulsioni più intime. E in questo i social smascherano quell’ apparente ipocrisia che considera le donne come le uniche vittime di quel fenomeno oggi nella bocca di tutti chiamato body shaming. Campagne pubblicitarie in favore della lotta contro questa corrente di pensiero, collezioni di abbigliamento dedicate interamente alla moda curvy, campagne di sensibilizzazione contro questo tema film e canzoni: iniziative con intenzioni nobilissime che coinvolgono unicamente il mondo femminile, considerato l’unico genere che soffre di questa forma di discriminazione.
Soffermandosi maggiormente su questo punto, invece, è innegabile quanto gli uomini, fin dall’antichità siano sottoposti a una pressione smodata per la loro forma fisica, idealmente perfetta e priva di difetti fisici. Basti pensare al David di Michelangelo, emblema artistico della perfezione maschile che unisce uomini e donne, di qualsiasi nazionalità, per l’ambizione a quella ineccepibiltà fisica, o la Creazione di Adamo sempre di Michelangelo, con un Adamo atletico, impeccabile e un Dio che, dalla definizione del braccio e del polpaccio, evince una definizione fisica perfetta, le sculture di Canova, fino alla rappresentazione di Cristo, Santi e persino i putti o i bambini, raffigurati nel massimo splendore senza alcun difetto.
Alla luce di questa considerazione di carattere artistico è, dunque comprovato quanto gli uomini, nel corso dell’evoluzione sociale e storica fino ai giorni d’oggi, siano sottoposti indirettamente a incarnare un certo prototipo fisico perdurato nei secoli e che continua a creare aspettative nei loro confronti. Nel 1994 il giornalista Mark Simpson conia il termine Metrosessuale per indicare i canoni dell’epoca volti a rappresentare l’uomo muscoloso, curato, in forma, con una buona capacità di spesa ed eterosessuale, quest’ultimo dettaglio fondamentale per definire un Vero uomo, secondo la sua definizione. Nel 2002, infatti, Simpson definisce David Beckham l’uomo britannico più metrosessuale – come dargli torto – e qualche anno dopo, nel 2015 sembra che le cose stiano procedendo verso un cambio ideologico in questo senso. Il modello Zach Miko, infatti, è il primo uomo a inaugurare la divisione plus size di una nota agenzia di moda.
Ma, come per qualsiasi fenomeno sociale, l’avvento dei social riallinea drasticamente la definizione del corpo maschile ridefinendo modelli stereotipati: addome e spalle scolpite, assenza di peluria, mascella pronunciata sorriso “durbans” e atteggiamento da dolce stronzo, connubio che fa subito trend nelle donne. Qualche mese fa, la piattaforma di analisi e sensibilizzazione di disturbi alimentari “Bulimia Project” ha analizzato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, quelli che sarebbero i corpi più apprezzati nei social media. Il risultato? Tutte versioni photoshoppate di culturisti, con connotati estetici incarnati – guarda caso – dagli influencer più influenti, appunto, sui social.
Tanto nel mondo maschile, quanto in quello femminile esiste una ossessiva attenzione verso la perfezione fisica e per il suo raggiungimento, spesso ottenuto grazie alla chirurgia estetica e al tanto, troppo allenamento compulsivo con la differenza che si parla ampiamente del fenomeno che colpisce le donne con messaggi importanti volti a sdoganare la concezione della donna perfetta - e l’ultimo film di Greta Gerwig “Barbie” ne è la massima espressione-, cosa che non avviene, invece, per il mondo maschile di cui addirittura non sono neppure registrati dati ufficiali sul body shaming maschile.
Eppure sono molti gli uomini, specie quelli appartenenti allo star system, vittime di body shaming: primo fra tutti Leonardo di Caprio, di cui si sottolinea la netta differenza fisica dai tempi di Titanic – quasi 30 anni fa – a oggi, il cantante Sam Smith oggi icona di inclusività, l’attore David Harbour che durante un’audizione si è sentito dire di essere troppo in carne, fino a un sex symbol come Jason Momoa al quale sono arrivati commenti non appena ha preso qualche chilo, con appellativi come “Dad body”, letteralmente corpo da papà (fossero così tutti i papà).
Vogliamo davvero sposare solo le cause femminili, che riguardano le donne e le discriminazioni cui sono sottoposte? Forse questa ondata di “femminismo” sta andando oltre rispetto all’ottenimento della parità di diritti, includendo temi che le riguardano nella loro interezza ed escludendo qualsiasi altra forma di discriminazione. La lotta per la parità dei diritti non deve essere una guerra contro il sesso maschile troppo spesso sedimentato dietro le quinte di un palcoscenico in cui le donne sono sotto i riflettori senza cambiare mai la scena senza condizioni. Soprattutto quando si tratta di corpi altrui.
Perché quest’opera
Corpo titanico, perfettamente definito nella sua anatomia lascia chiunque a bocca aperta nell’ammirare la bellezza di un corpo che trasuda virilità, protezione e seduzione. Ipocrita chi sostiene il contrario. C’è un dettaglio, però, che mi ha spinto a scegliere quest’opera, nettamente non collegato al contesto storico nel quale David ha rappresentato il dipinto: il soggetto, Patroclo, messo di spalle. Un uomo che, contrariamente ai dipinti dell’epoca nei quali si ostenta il coraggio e il vigore, in questa opere è di spalle, con la testa china e quello che lo spettatore può farne è ammirarne i soli dettagli estetici. Una condizione che, pensandoci bene, potrebbe essere quella di un mondo maschile pressato dalle aspettative fisiche che la società gli addossa, attenta al solo aspetto fisico e considerando di non tendenza corpi differenti. Una condizione che mette gli uomini con le spalle al muro e lo sguardo abbassato, schiavizzato. Tutti gli uomini sono Patroclo.
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