Caro lettore,
settembre è iniziato e, come di consuetudine, Stay. dedica questo mese ai reportage di viaggi! Un’uscita a settimana, alla scoperta di posti nel mondo dove fermarsi, scoprire e amare. Sei pronto? Oggi è il turno della Bulgaria!
Decidiamo di partire per la Bulgaria verso i primi di settembre. Eravamo alla ricerca di una meta senza troppi fronzoli, che non gravasse eccessivamente sulle nostre finanze, messe a dura prova dalle vacanze al mare da poco trascorse. Un’amica ci aveva parlato positivamente di Sofia, elogiandone sia la bellezza che l’economicità, così, senza pensarci troppo su, decidiamo di prenotare il nostro viaggio. Sebbene mi fossi ripromessa di non partire mai più con Ryan Air, decidiamo comunque di dare un’altra chance alla compagnia low-cost irlandese. Così il 3 settembre, dopo più di due ore di ritardo ed un rocambolesco atterraggio, arriviamo a Sofia. Il primo impatto con la città, vista dai finestrini del nostro taxi, è positivo: grossi grattaceli, grandi strade, ordine e pulizia. Arriviamo in albergo quasi alle dieci e mezza di sera. Dopo aver sbrigativamente lasciato i bagagli in camera, stanchi ed affamati, decidiamo di optare per una cena veloce. Chiediamo al concierge dove fosse il Mcdonald’s più vicino, spinti anche dall’insistenza di mio figlio Thomas, fedelissimo consumatore della nota catena di fast-food americana. Una volta usciti, la prima cosa che ci colpisce è il silenzio in cui sono avvolte le strade semi deserte della capitale bulgara. Un silenzio estremamente insolito, che non si addice al centro storico di una metropoli europea. Quando raggiungiamo il Mcdonald’s indicatoci dal concierge lo troviamo inaspettatamente chiuso, pur essendo a malapena le 23. Accontentandoci di due pacchi formato famiglia di patatine in busta comprate in uno piccolo negozio aperto tutta la notte, facciamo ritorno in albergo. Per le strade non c’è quasi più nessuno. Capiamo ormai di non trovarci esattamente nella capitale europea della movida notturna, ma non ne siamo affatto dispiaciuti.
Un tuffo negli anni ottanta
Il mattino seguente, non appena usciti dall’albergo, ci rendiamo conto di non esserci solo spostati nello spazio, ma anche nel tempo. Ogni cosa intorno a noi urla disperatamente anni 80, dalle vetrine démodé dei negozi sino all’aspetto degli abitanti della capitale bulgara che indossano completi in denim e sfoggiano acconciature dal sapore vintage. Il mullet, il taglio di capelli più in voga negli anni 80 corto ai lati e lungo sulla nuca e che, per inciso, è una delle poche cose che non rimpiango di quel periodo, va per la maggiore e viene portato con disinvoltura da uomini e donne, per lo più di mezza età. Catturati da questo clima nostalgico e considerato il cattivo tempo, decidiamo di fare una prima tappa al Museo di Arte Socialista. Trovarlo non è facilissimo. Il museo è situato vicino ad una strada a scorrimento veloce e le persone che incontriamo e alle quali chiediamo indicazioni, non riescono a darci precise informazioni a riguardo, anzi, sembrano quasi stupite del fatto che nei paraggi ci sia un museo. Dopo diversi tentativi, riusciamo comunque a scovarlo. Il posto non si presenta benissimo, ma ha il suo perché. L’incolto giardino antistante l’entrata principale è un vero trionfo di razionalismo sovietico. Le immense e monolitiche statue che lo affollano, raffiguranti leader socialisti e membri delle classe operaia, si stagliano fiere e spigolose contro il cielo.
Le opere esposte all’interno dell’edificio coprono un periodo che va dal 1944, l’anno in cui il colpo di stato comunista depose la monarchia reggente portando alla fondazione della Repubblica popolare di Bulgaria, sino al 1989, anno di caduta del comunismo. Sebbene la collezione ospitata all’interno del museo sia veramente esigua e non contenga opere di particolare valore artistico, questa riesce a restituire al visitatore una vivida rappresentazione dello spirito socialista di quegli anni. Uno spirito che non è solo circoscritto alle quattro mura del museo, ma che si respira ovunque per le vie delle capitale bulgara, disseminata di numerosi richiami al suo passato comunista. Richiami presenti non solo sui monumenti, ma anche fra i banchi dei mercatini che circondano la cattedrale di Nevskij ad esempio e che vendono ogni genere di cimelio risalente all’ex CCCP, oppure nei piccoli negozietti di souvenir che affollano le vie centrali della città. In uno di questi troviamo una rifornitissima collezione di tazze per la colazione dedicate ai più svariati leader politici, con una particolare predilezione per Putin, ritratto nelle sue solite pose da macho ed evidentemente molto amato da una parte della popolazione locale.
La cattedrale di Nevskij e la chiesa russa di San Nicola
Il terzo giorno partiamo alla volta della cattedrale di Aleksandr Nevskij e della chiesa russa di San Nicola, i due principali edifici religiosi della città. La chiesa russa di San Nicola è semplicemente bellissima, un piccolo gioiello di arte ortodossa incastonato in un curatissimo giardino all’inglese. Purtroppo, a causa dello svolgimento di un battesimo, un cordone ci impedisce l’accesso all’edificio. Irreprensibili signore russe, vestite in abiti tradizionali, ci scrutano intimandoci di non scattare foto, che non sono ammesse né con né senza flash. Tentiamo invano di sbirciare all’interno dell’angusta chiesetta per ammirare gli affreschi smaltati in puro stile neo-bizantino che fanno capolino dalla volta, ma, dopo essere divenuti oggetto di numerose occhiatacce da parte delle signore all’ingresso, decidiamo di proseguire oltre.
Ci rechiamo così alla cattedrale di Nevskij, che con le sue cupole dorate domina il paesaggio e che scopriamo avere invece una politica diametralmente opposta in merito alla possibilità di scattare foto. I custodi della chiesa, un uomo ed una donna anziani vestiti in abiti dimessi, la cui mansione principale è apparentemente quella di spegnere ed accendere i candelieri all’interno dell’enorme cattedrale, ci spiegano in un inglese stentato e quasi incomprensibile, che le foto non sono ammesse a meno che non si paghi una tariffa. Stando al tariffario affisso alla vetrina della cassa pagando 10 lev (all’incirca il corrispettivo di cinque euro) si ha diritto a scattare 10 foto, qualora invece se ne vogliano scattare un numero maggiore oppure si desideri girare dei video la tariffa aumenta. Difficile dire come i due custodi possano tener conto dell’effettivo numero di foto scattate dai turisti.
Su e giù per Vitosha boulevard, cuore pulsante della città
Passiamo la serata e gran parte della giornata successiva passeggiando per le vie principali della capitale che gravitano tutte intorno a Vitosha Boulevard. Il viale, interamente pedonale, è il frutto di una recente ristrutturazione ed è il vero centro nevralgico di Sofia. I numerosissimi ristoranti e bar di Vitosha strizzano l’occhio ad un design contemporaneo ed elegante e non hanno davvero nulla da invidiare ai locali delle grandi metropoli alla moda. Il richiamo agli anni 80 però si fa sentire anche qui ed in questo caso è rappresentato dalle porzioni, enormi e quasi impossibili da finire. Fra una passeggiata e l’altra decidiamo di dedicare un intero pomeriggio al grande Museo di Storia Naturale della città. La collezione si sviluppa su ben 4 piani e contiene migliaia di specie di animali impagliati, nonché campioni di circa un quarto dei minerali presenti sulla terra. La sezione ornitologica è fra le più suggestive in assoluto, contiene centinaia di esemplari di volatili , alcuni estinti ed altri rarissimi, dai piumaggi sgargianti e dalle forme incredibili.
Non mancano tuttavia alcuni elementi grotteschi. Il museo, fondato nel 1889, è piuttosto vecchio ed alcuni allestimenti non sono proprio all’avanguardia. Gli scenari in cui vengono inseriti i predatori, ad esempio, sono un po’ naive e così può capitare di trovare accanto a leopardi impagliati piccoli animaletti morti fatti di cartapesta che non sono bellissimi da vedere. Particolarmente degna di nota è invece la sezione entomologica alla quale devo riconoscere il merito di avermi fatto scoprire, alla mia veneranda età, che nel mondo esistono svariate migliaia di specie di api diverse. Il museo, naturalmente, ne contiene solo una parte, catalogate in decine di teche di vetro con una minuzia e una meticolosità che ha dell’incredibile.
Il Monastero di Rila, i sette laghi e molti altri posti che non abbiamo visitato.
Prima di partire per Sofia, avevamo in parte pianificato il nostro viaggio, programmando diverse visite fuori porta, fra cui quella ai sette laghi e quella al suggestivo monastero di Rila, patrimonio dell’UNESCO dal 1983. Arrivati nella capitale però, nel giro di pochi giorni, ci lasciamo completamente sedurre dai ritmi lenti e soporosi della metropoli bulgara. Decidiamo di abbandonare ogni programma e, a parte qualche doverosa visita, iniziamo a girovagare senza meta, assaporando la quiete e il silenzio che regnano sovrani in tutta la città. Trascorriamo ore intere nei bellissimi parchi della capitale, dai più piccoli, come quello che circonda la National Art Gallery, sino ai più grandi, come quello di Borisova Gradina, un luogo incantevole dove passeggiare fra roseti e laghi di ninfee. Decidiamo di trarre il massimo beneficio da questo viaggio sfruttandolo come un’efficace terapia di ossigenazione dai ritmi caotici di una città, come quella di Roma, che ormai, specialmente negli ultimi anni, è diventata preda di un anarchismo urbano e sociale che l’ha resa praticamente invivibile.
Il viaggio in Bulgaria ci dà l’occasione di conoscere più da vicino il popolo bulgaro, a tratti respingente e brusco, ma anche estremamente educato e capace di grandi slanci di generosità e soprattutto ci dà l’occasione di conoscere Sofia, la terza capitale più antica d’Europa, sorprendentemente dimenticata dal turismo di massa. Una città che forse in fondo non è fatta per il turismo di massa perché assomiglia un po’ ad una bella donna che, seppur consapevole e fiera del suo fascino, non ama fare nulla per farsi notare, ma si concede, con generosità e discrezione, solo allo sguardo di chi è in grado di apprezzarla davvero.