Ti starai chiedendo perché questo editoriale non è guidato da un’opera d’arte?! Da oggi Stay. introduce una nuova sezione dedicata ai reportage di viaggio raccontati da persone comuni che viaggiano il mondo come scelta vita.
La vera felicità è una scelta del cuore.
Così Sergio Bambarén apre il prologo del suo libro “Beati i sognatori”, un vero e proprio vademecum che invita il lettore a riflettere sulla propria felicità, dando lo slancio per compiere scelte di vita consapevoli. Quando tutto è diventato così complicato? Quando ti sei accorto che il tempo a disposizione non era sufficiente per quello che dovevi fare? Quando è stato, che tu ti ricordi, l’ultimo giorno in cui hai davvero amato la tua esistenza prima che tutto ad un tratto diventasse una successione di giorni uguali? Quando hai rinunciato alla tua felicità?
Interrogativi che l’autore peruviano rivolge al lettore dopo averli domandati a sé stesso. Scegliere di essere felici, oggi, è un atto di coraggio e implica delle complicazioni che incidono sulla propria esistenza, togliendo tanto al presente ma regalando ancora di più al futuro: scegliere la persona da amare, scappare dal proprio Paese per sfuggire alla fame e alla guerra, scremare delle relazioni tossiche, abbandonare una sicurezza per andare incontro all’ignoto. Queste scelte, oggi, non sono semplici e obbligano uomini e donne a sentirsi in colpa per volere qualcosa di diverso da quello che si possiede, rendendo sbagliato l’allontanamento dalla gratitudine verso tutto quello che ci è stato dato da non si sa chi. L’essere umano è incoraggiato a cercare, sì, la felicità ma nella sicurezza delle proprie condizioni, evitando di abbandonarsi alla vulnerabilità e alle scelte scomode che portano a un cambiamento, in aggiunta al fatto che l’eccessiva frenesia cui è sottoposto lo porta a non avere tempo per fermarsi e capire in che modo vivere la propria vita secondo il suo reale volere.
Scegliere di cambiare vita o, semplicemente, di migliorarla, purtroppo sta diventando un lusso che pochi riescono a permettersi non in termini monetari, bensì esistenziali. Quante coppie vivono incatenati in una relazione tossica che non gli dà libertà e amore, continuando a portarla avanti per abitudine o quante persone, spinti dalla necessità, esercitano una professione che non gli piace o che non gli permette di poter vivere il tempo libero come vogliono? Eppure la necessità di vivere la propria epifania è sempre più forte per uomini e donne che scelgono il viaggio come mezzo per poter scavare dentro se stessi e comprendere la reale vocazione. Una necessità che sta diventando – purtroppo - un trend crescente convertito, paradossalmente, in una professione. Il travel influencer maschera l’intenzione di arricchimento economico e notorietà attraverso dei viaggi apparentemente mirati a una necessità di ascolto interiore.
Secondo uno studio mondiale condotto da Booking su oltre 22.000 partecipanti in 29 mercati differenti, i viaggiatori della Generazione Z – tra i 16 e i 24 anni – sono già molto sicuri riguardo le loro intenzioni: il 67% degli intervistati non vede l’ora di visitare tutti i posti che vuole vedere in futuro, il 39% vuole visitare almeno tre paesi diversi nei prossimi dieci anni e il 30% vuole vivere o studiare all’estero. Il 56% degli intervistati vuole provare un’esperienza avventurosa, come paragliding o bungee jumping, mentre il 52% vuole visitare o fare trekking in una meta estrema. Sempre più diffusa, inoltre, la tendenza a viaggiare in solitaria: la voglia di lasciare il nido domestico è molto forte e molti, tra gli intervistati, hanno in programma un viaggio da soli con lo zaino in spalla (18%). Per questa generazione essere indipendenti è una vera priorità. Nei prossimi dieci anni, un terzo dei giovani della Generazione Z ha intenzione di viaggiare da solo almeno una volta.
La necessità e il coraggio di fermarsi e vivere
199 giorni di viaggio e nove Paesi visitati e vissuti. È Mattia che oggi racconta la sua storia, la sua esperienza di vita dell’ultimo anno. Classe 1992 e torinese di origine, lo conosco dai tempi del liceo, quando era fidanzato con la mia migliore amica dell’epoca, una persona totalmente diversa da quella rivista qualche giorno fa. Capello, barba lunga e sguardo disteso, mi racconta la scelta fatta esattamente sette mesi fa quando, all’alba dei 30 anni, firma il licenziamento nell’azienda in cui lavora, mette lo zaino in spalla e ha comincia a viaggiare nel sud-est asiatico da Singapore, Malesia, Vietnam, Laos del nord, Thailandia, Indonesia, Cambogia al Laos del Sud per terminare il viaggio nuovamente in Cambogia. Una scelta concretizzata quasi un anno fa ma maturata anni prima, durante un viaggio in Argentina, alla scoperta di una parte della sua famiglia a lui coetanea in cui prende la consapevolezza di voler viaggiare a qualsiasi costo. “Ultimamente a lavoro mi sentivo pressato, poi mi è capitata l’occasione di andare in Argentina a conoscere parte della mia famiglia. Il lavoro che facevo mi distruggeva nonostante mi stesse arricchendo economicamente, quindi ho iniziato a cercare lavori che mi permettessero di viaggiare”. Da quel momento inizia la sua storia.
Qual è il tuo excursus professionale?
Dopo il liceo ho aperto un’agenzia di luce e gas ma dopo qualche tempo, a seguito del mio viaggio in Argentina, ho chiuso tutto e ho iniziato a fare l’animatore: sono stato 13 mesi in Egitto, in Sicilia, in Kenya ma prima sono andato in vacanza a Londra a trovare un amico. Lì ho avuto un colloquio con il manager di Michael Kors al quale sono piaciuto, così ho annullato il Kenya e mi sono trasferito a Londra (ma non mi piaceva perché era troppo caotica, io correvo sempre e lasciavo l’80% del mio stipendio per pagare l’affitto). Dopo poco più di un anno sono stato trasferito in Italia e sono rimasto in azienda per cinque anni.
Dopo cosa è successo?
Durante questi anni mi sono fidanzato, ma ho continuato a viaggiare molto anche con la mia ex fidanzata. A 30 anni, però, ho firmato il licenziamento, è mancata mia nonna, ho interrotto la relazione e allora ho deciso di lasciare tutto, sono partito e sono tornato a maggio scorso.
L’amore ha ostacolato o temporeggiato questa scelta?
Stavo con una ragazza più giovane di me molto attaccata alla famiglia che non aveva mai viaggiato prima se non con me principalmente. Siamo stati a Dubai, Capoverde, Thailandia di cui mi sono innamorato e da lì è nata la scintilla di tornare nel sud-est asiatico. L’idea iniziale era fare questo viaggio in spalla insieme dopo la sua laurea, ma ci siamo lasciati prima. Al che sono andato lo stesso, ma da solo.
L’idea di iniziare a viaggiare da solo, non da turista, da cosa nasce, da quale esigenza?
Nonostante la mia relazione andasse bene e al lavoro fossi abbastanza soddisfatto, sentivo l’esigenza di impadronirmi del mio tempo.
Ci sono stati degli incontri che ti hanno scavato dentro?
Ci sono stati tantissimi incontri. In ostello dormivo con una media di dieci persone quindi, almeno nel proprio dormitorio, le persone le conosci tutte e le storie escono fuori. Ho avuto molte esperienze significative con persone dell’età dei miei genitori che, per risparmiare denaro, sceglievano di dormire con ragazzi più giovani negli ostelli. In Malesia ho incontrato una coppia di svedesi sulla sessantina con una visione del mondo incredibile: hanno insegnato ai figli i valori per loro importanti e se ne sono andati. In alcuni paesi, infatti, il bene non è collegato alla vicinanza, alle volte ossessione, verso i propri cari, come nel caso dei genitori-figli e spesso i genitori obbligano i figli a fare tutto quello che non sono in grado di fare in autonomia. Ho conosciuto anche un uomo inglese di 50 anni che si è licenziato ed è partito allontanandosi dai figli. Non mi sento neppure di giudicare la scelta di un genitore che non mette la vita dei propri figli al primo posto se non lo rende felice. Ho incontrato in generale persone di culture diverse.
Un aneddoto divertente?
La mia storia, in Italia, è comune perché non sono certo il primo ad avere intrapreso questa strada, ma per certi versi rara, rispetto alla nostra cultura incentrata sulla stabilità e sicurezza soprattutto economica. Quando, durante il mio viaggio, mi hanno intervistato sulla stazione radio RTL 102.5, avevo avvisato i miei compagni del dormitorio che avrei dovuto mettere la sveglia all’alba per questa intervista. Si sono meravigliati, increduli e divertiti allo stesso tempo, in quanto in molti posti del mondo scegliere uno stile di vita nomade che permetta di essere felici è normale e quindi non è oggetto di intervista. Io non avevo nulla di speciale rispetto ai miei compagni che, oggettivamente, avevano percorsi di vita sicuramente più incisivi del mio.
Perché hai scelto di tornare?
L’idea era quella di vivere lì definitivamente, infatti sono tornato in Italia con l’obiettivo di salutare i miei affetti, tornare a vivere nel sud-est asiatico e aprire un’attività, ma adesso che sono tornato mi sono capitati alcuni progetti tra le mani inerenti ai viaggi e quindi ho lasciato in stand-by questa idea, per il momento. Adesso sono stato in Islanda ma in una visione totalmente diversa da quella degli ultimi sette mesi, per lavoro.
Questa modalità differente di viaggio non pensi sia in contrasto con quello che hai costruito in questi ultimi sette mesi?
Sí, è una concezione totalmente diversa perché gli ultimi viaggi sono di lavoro, però a me piace viaggiare quindi, anche se a volte faticoso, è bello ugualmente anche se è totalmente differente dal viaggio in solitaria. È un periodo di prova anche per me stesso per capire se sono in grado di poter stare 24 su 24 sempre in compagnia di altra gente.
Ti senti cresciuto, diverso?
Sí. Tornare per me è stato un trauma. Lo sguardo delle persone è diverso. Incide sicuramente molto la religione: loro sono buddhisti per cui hanno un credo secondo cui il bene si compie perché torna indietro come anche il male che, ovviamente non viene commesso. Puoi camminare per strada da solo negli orari più “rischiosi” senza la paura che qualcuno possa fare del male. Inoltre vivono con poco, che è un po’ il mio credo attuale (diverso da qualche anno fa). Negli ultimi anni, tutto ciò che non mi rendeva felice l’ho eliminato, ho tagliato le spese e ho accumulato tutto quello che sarebbe stato utile per viaggiare. Io a oggi non riesco più a trascorrere del tempo con alcune persone con cui stavo bene prima e forse ai loro occhi è inspiegabile il mio cambiamento, come per me è difficile concepire il loro stile di vita che prima conducevo anche io peraltro.
Ti manca la vita degli ultimi sette mesi?
Sí. Mi manca sentirmi libero senza essere giudicato. In Thailandia sono caduto dal motorino facendomi male all’alluce del piede per cui non ho indossato alcun tipo di scarpe per un mese. Camminavo scalzo ovunque e nessuno mi giudicava, al contrario molta gente mi chiedeva se avessi bisogno di aiuto. Sicuramente se lavorassi e vivessi lì avrei concepito il tempo trascorso diversamente, tuttavia quella gente vive la vita in maniera diversa da noi occidentali, non hanno un ideale di lavoro finalizzato all’arricchimento ma alla sola necessità, il che li spinge a lavorare quanto vogliono, secondo il proprio bisogno personale.
La storia di Mattia non finisce qui: nei prossimi mesi andremo alla scoperta delle diverse tappe del suo viaggio… Iscriviti per rimanere aggiornato!