Oggi Stay. è Henri Rousseau, che racconta l’immigrazione di Pakistan e Bangladesh (di cui nessuno parla)
di Paola Sireci
Caro lettore,
dopo quasi due anni di attività, Stay. sta evolvendo ancora una volta.
Con il tuo supporto, ci hai dato la motivazione per fare sempre meglio e, se oggi siamo pronte ad avviare una nuova fase del nostro progetto editoriale, è anche merito tuo!
Ma cosa dovrai aspettarti? Nei prossimi mesi lanceremo il sito Stay. News: il luogo in cui potrai leggere gratuitamente tutti i contenuti riguardanti la cultura e la società digitali a cui sei più affezionato.
E la newsletter? Stay. Newsletter sarà sempre edita su substack e avrà un focus tutto nuovo su location e eventi di Roma e dintorni, e non solo.
Le novità saranno tante, ma l'obiettivo sarà sempre il tenerti aggiornato sulla società del nostro tempo.
Per ora continuerai a ricevere i nostri articoli secondo il tuo piano di abbonamento (gratuito o a pagamento), presto potremo darti altre informazioni su come trovarci liberamente online e quali vantaggi comporterà la tua iscrizione alla newsletter.
Buona lettura
La favola di Cappuccetto Rosso ci insegna che persino il personaggio apparentemente più rude e minaccioso, come il cacciatore, può salvare delle vite, regalando la felicità a una bambina e alla sua nonna. Questo accade nelle favole. La realtà è assai diversa perché nel bosco ci sono, sì, i cacciatori ma, invece di andare a caccia di lupi che mangiano le persone, vanno a caccia di persone.
Si chiamano cacciatori di migranti e girano nel cuore delle foreste dell’est Europa per impedire ai migranti, provenienti dall’Asia e dal Medioriente, di varcare il confine europeo. Un vero e proprio traffico di essere umani gestito da organizzazioni criminali il più delle volte affiancate da corpi di polizia di frontiera e alti funzionari di Stato che esercitano violenza e intimidazioni verso i coloro che cercano rifugio al di fuori dei loro Stati nativi.
La maggior parte delle volte che si sente parlare di immigrazione e di tratta di esseri umani si fa riferimento alle struggenti immagini relative ai migranti provenienti dal Nord Africa, protagonisti di un’odissea di cui il mare diventa ciclope. Questo traffico mediatico, affiancato da dibattiti politici sul tema, ha bendato gli occhi ai fruitori che, al concetto di immigrazione, collegano direttamente le immagini crude di barconi in mare e corpi esanimi dispersi in acqua, senza considerare quella fetta di mondo non raccontata dai media tradizionali e digitali: il Medioriente e il Sudest asiatico.
I flussi migratori provenienti da est sono assai densi tanto quanto quelli mediterranei nonostante siano viaggi decisamente più lunghi e pericolosi rispetto gli “haraga” tunisini che devono attraversare un braccio di mare in condizioni più o meno favorevoli della durata di qualche ora, sebbene l’esposizione al pericolo di questi sia molto alto. I migranti provenienti da Afghanistan, Pakistan, India o Bangladesh, invece, percorrono interminabili viaggi con diverse rotte: quella asiatica che prevede il volo per Il Cairo cui segue il passaggio del confine con la Libia per attraversare, infine, le coste mediterranee e giungere in Italia. La seconda rotta passa per i balcani, seguendo le correnti siriane e afghane; questo è il percorso sicuramente più insidioso e faticoso se si considerano i pericoli che la terraferma offre, tra cambiamenti climatici e paesaggistici. Il film “Europa” di Haider Rashid, presentato al Festival di Cannes del 2021 racconta in sessanta minuti la traversata di un migrante afghano al confine con la Bulgaria che sfugge ai mitra dei cacciatori di migranti come una lepre in un bosco.
Pakistan e Bangladesh, in effetti, raccontano la loro storia attraverso l’immigrazione. Unite in un unico Stato fino al 1971, dopo gli anni Settanta hanno avviato un processo di emigrazione verso l’Italia e oggi si configurano come le due Nazioni da cui proviene il più alto numero di migranti. Il Bangladesh è il Paese con il più alto tasso demografico al mondo, considerando che solo la capitale Dacca conta 20 milioni di abitanti, dato che tuttavia non impedisce uno progressivo sviluppo economico del Paese. Nonostante questa progressione economica, i cittadini versano in gravi condizioni di vita: quasi 30 milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà, 25 milioni di persone sono malnutrite, 33 bambini ogni 1.000 muoiono prima di arrivare ai 5 anni di vita, il 34% delle donne non prosegue gli studi oltre la scuola primaria e il 53% subisce violenza nel corso della propria vita. Dal punto di vista politico subisce una forte instabilità politica dovuta al confine con il Pakistan e l’India, cui pregresso storico fatto di conflitti sente le ripercussioni ancora oggi, nonostante sia una Repubblica parlamentare. La situazione sociale e politica si osserva anche negli Stati confinanti, con un forte tasso di povertà dovuta all’assenza del salario minimo e della previdenza sociale, unite a una forte crisi umanitaria che affonda le sue origini nelle forti tensioni politiche e sociali dei Paesi.
Perché si fugge, quindi, dal sudest asiatico? Ce lo spiegano Farah Kabir, direttrice dal 2007 di Actionaid Bangladesh e il Dottor Nure Alam Siddique, detto Bachcu, responsabile Legale dell’Associazione Dhuumcatu Onlus di Roma. Kabir spiega che i flussi migratori verso l’Italia sono cominciati nel 1974, anno in cui una grande carestia ha colpito il Bangladesh (subito dopo l’indipendenza dal Pakistan) e, tra le altre motivazioni che hanno spinto l’emigrazione verso la penisola, il cambiamento climatico – che provoca ancora oggi diversi disastri naturali - , la grande concentrazione demografica e, problema più significativo, il lavoro informale. Solo i dipendenti statali e i lavoratori del settore abbigliamento percepiscono uno stipendio fisso, mentre il lavoratore informale guadagna tra i 3 e i 4 euro giornalieri, importo inferiore nel caso delle donne, in aggiunta alle scarse condizioni lavorative. Lo stipendio mensile non consente, dunque, di mantenere famiglie numerose, considerando che il costo della vita è aumentato nel corso degli ultimi venti anni e quindi spinge gli uomini in primis a cercare opportunità lavorative altrove. Circostanze confermate da Bachcu
“le motivazioni che portano a migrare verso l’Europa sono svariate: turismo, lavoro, studio ma anche disperazione in quanto il tenore di vita e gli stipendi sono molto basso”.
Quando si pensa all’ immigrazione proveniente dal sudest asiatico, infatti, si deve considerare che non riguarda il singolo che si mette in viaggio verso l’Italia, bensì il rappresentante di una famiglia che la mantiene a distanza in vista di un ricongiungimento futuro. A oggi, in Italia, si contano circa 120.000/130.000 immigrati provenienti da queste zone e, una volta arrivati a destinazione, il percorso di integrazione è complesso per certi versi ma sicuramente facilitato dalla legge Martelli del 1990 - che disciplina alcuni aspetti dell’immigrazione italiana - e da ragioni culturali. È consueto, infatti, che più persone uniscano i loro risparmi per avviare attività a basso costo come call center o negozi di alimentari - che si aggirano intorno ai 10.000 euro - , mentre altre persone vengano collocate in settori specifici come la ristorazione ( bengalesi e pakistani) e agricoltura (indiani) tramite il passaparola dei connazionali. Aspetto interessante, infatti, è capire il motivo per cui persone appartenenti alla stessa etnia vengano inserite nello stesso settore (colf sud americane o filippine, cuochi o lavapiatti bengalesi o pakistani, badanti romene o albanesi): il forte potere del passaparola che rende il centro di collocamento pressoché inutile per la ricerca del lavoro. La solidarietà culturale, in questo senso, gioca un ruolo decisivo nel processo di integrazione degli immigrati che, unendo le loro forze per regalarsi un nuovo futuro, si concedono vicendevolmente una seconda possibilità.
Perché quest’opera?
Ne “Il sogno” di Henri Rousseau l’artista rappresenta una giungla folta e rigogliosa in cui sono due gli elementi che saltano all’occhio dello spettatore: il corpo candido e nudo della donna, amica polacca di Rousseau che non vive realmente quella scena ma la sogna - da cui il titolo dell’opera - , e le due tigri, nascoste tra le piante della foresta, con sguardo spaventato e allo stesso assorto, quasi ipnotizzato. Raffigurazione metaforica di scene di vita quotidiana che i media non rappresentano, dove esseri umani sono dati in pasto a uomini che danno loro la caccia, costringendoli ad attraversare giungle e foreste con la paura del futuro e la rassegnazione a una vita segnata dal dolore. Come tigri ipnotizzate.
Stay. esiste anche grazie ai nostri sostenitori e di questo siamo grate!
Nel caso tu non possa sostenerci economicamente, condividi questa newsletter con chi è appassionato di arte o a chi pensi possa piacere; è già un grandissimo supporto per noi. Grazie <3