Oggi Stay. è Goya che racconta perché gli utenti usano i propri cari per avere potere sui social
di Paola Sireci
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Ci sono frasi che rimarranno indelebili nella storia dell’intrattenimento social, gesti, momenti o espressioni che hanno segnato momenti precisi, quasi come lancette che scandiscono il tempo: il famoso “Buongiorno da Mondello”, simbolo della liberazione estiva dopo il primo lockdown del 2020, il momento gelido tra Morgan e Bugo durante il Festival di Sanremo nel 2020, “Ora farò nomi e cognomi” di Giuseppe Conte durante una delle tante conferenze stampa mandate in onda durante il primo lockdown, l’ormai famosissimo video di scuse di Chiara Ferragni simbolo del caso Balocco-Ferragni, l’espressione “Stai facendo il video, bravo”, detta da Tiziana Cantone durante un rapporto intimo, il recentissimo video del dolce bambino che, in lacrime, “Ringrazia Babbo Natale e tutti gli elfi”. E come questi, tanti altri. Tutti video appartenenti a contesti totalmente differenti ma che presentano dei tratti comuni che, nel corso di tempi li hanno configurati virali. Contenuti che, visti in un primo momento, scuotono le coscienze di ognuno di noi facendoci apprendere il loro reale significato e che, proprio per la loro profonda comprensione, spingono a creare meme, altri video sbeffeggianti e che trasformano i soggetti in questione dei fenomeni di costume.
In particolare, è interessante soffermarsi su gli ultimi due video riportati: ripresi in circostanze ben diverse possiedono dei tratti in comune che li rendono, paradossalmente, molto simili tra loro. Cosa accomuna, dunque, un video di un rapporto intimo con uno che riprende un bambino durante lo scarto dei regali di Natale? Prima di rispondere a questa domanda occorre rispolverare un momento il caso di Tiziana Cantone: 31enne di Mugnano di Napoli, si è suicidata il 13 settembre 2016 dopo due anni di insulti, ripudi, irrisioni, offese, umiliazioni e stigmatizzazioni a seguito della diffusione di alcuni video che la ritraevano in momenti intimi con altri uomini, per mano ignoti. A oggi, infatti non vi è un colpevole in questa vicenda e il Tribunale di Napoli Nord, che ha preso in mano il processo nel 2015, ha chiuso ufficialmente il caso questa settimana sentenziando il decesso di Tiziana Cantone come suicidio e non istigazione al suicidio, ipotesi ammessa durante questi anni di processo.
Tornando, quindi, alla domanda iniziale, i due video presi in considerazione differiscono per la forma, quello che in linguistica si definisce il significante, in quanto raffigurano due soggetti e due situazioni opposte, ma hanno lo stesso significato, ovvero due scene di vita intima riprese da una persona stretta per il soggetto – nel caso del video di Tiziana Cantone il suo compagno Sergio di Palo – e nel caso del bambino commosso la madre. In entrambe le situazioni, i “registi” del file commentano e ridono di quella scena, di quel soggetto a lui/lei caro a tal punto da pubblicarlo in rete alla mercé di milioni di utenti che, non solo si divertono o eccitano a vedere quel video ma lo condividono e ne creano di altri che prendono in giro quello originale. In entrambi i casi, quindi, il protagonista del video è consapevole di essere ripreso ma non sa cosa lo aspetta dopo: la pubblicazione, la condivisione, la beffa.
La condivisione sui social diventa, quindi, il fine ultimo di filmare o fotografare momenti intimi della quotidianità, con lo scopo di suscitare accettazione da parte dei follower: più un contenuto è intimo, più questo ottiene like, commenti e ricondivisione e agli autori piace così tanto questa dinamica al punto da non rendersi conto quanto questo nuoccia alla persona filmata in quanto è più importante quello il seguito che possa avere quel contenuto. Nel caso del video del bambino che scarta i regali di Natale, è interessante osservare quanto, nei giorni successivi al video, la madre del bambino lo abbia filmato nuovamente per raccontare altri momenti personali e della quotidianità del figlio. Le persone, dunque, vengono gettate con violenza nel Web diventando attori passivi di questa macchina dell’intrattenimento senza averlo scelto consapevolmente e personalmente, lasciando da parte quel diritto alla privacy, oggi meno rivendicato con orgoglio e fermezza con l’avvento dei social.
E in questa dinamica circense che ruolo ha il Web, in particolare i social? Esiste un garante della privacy, un moderatore dei contenuti oppure è tutto in mano al famoso algoritmo che decide se un contenuto rispetta le normative per essere pubblicato senza censura? Si entra nell’insidioso mondo della censura, in cui solo i contenuti di matrice sessuale e affini vengono disapprovati dal Web. Ma l’inquisizione dell’algoritmo non sempre agisce secondo etica e umanità e spesso autorizza la pubblicazione di contenuti nocivi. Nasce, quindi nel 2016 la moderazione dei contenuti digitali, settore che crescerà di oltre 13,60 miliardi entro il 2027. Veri e propri lavoratori invisibili che filtrano l’intelligenza artificiale e passano otto ore al giorno a guardare i video da pubblicare sui social. Stupri, abusi sui minori, suicidi, autolesionismo e tanto altri sono solo alcuni dei contenuti che gli utenti delle piattaforme social condividono ma che, fortunatamente vengono disapprovati. Una mole di lavoro che in termini di quantità e qualità costa sedute psicologiche fisse ai lavoratori. I moderatori hanno il semplice ruolo di approvare o meno i contenuti che vengono condivisi dagli utenti rispettando le linee guida del singolo social e senza un ruolo attivo nella censura o approvazione. Se, quindi, un video riprende una donna durante un rapporto intimo ma le parti intime sono, appunto, oscurate, quel video può liberamente girare in Rete con il benestare dell’autore.
Cos’è, quindi, giusto pubblicare e cosa non lo è? Davvero vogliamo mettere in mano ai leoni da tastiera le nostre emozioni e quelle dei nostri cari, momenti intimi della nostra quotidianità e persone a noi care, solo perché portano like e condivisioni? Una fame di fama che ci sta portando verso una cecità emotiva priva di discernimento e, soprattutto, rispetto verso il prossimo. Che sia un estraneo o nostro figlio.
Perché quest’opera?
Soggetto della mitologia greca, Saturno, il più giovane dei titani identificato nella divinità Crono, a seguito una profezia secondo cui uno dei suoi figli lo avrebbe soppiantato e privato del potere, li mangia uno a uno, tranne il sestogenito, Zeus, portato in salvo dalla moglie Rea e che, una volta cresciuto lo affronterà obbligandolo a restituirgli i fratelli mangiati e spodestandolo del potere.
Saturno è la metafora del circo social in cui gli utenti, pur di ottenere follower, like, interazione, sono disposti a soppiantare inconsapevolmente l’amore verso i loro affetti per la notorietà di qualche mese. Uno scambio non duraturo e costoso e, chissà, se tra qualche anno ci sarà qualche Zeus che rivendicherà il proprio diritto alla privacy rubatogli senza permesso.
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