Oggi Stay. è Goya, che racconta perché le testate parlano più dei Ferragnez che del genocidio a Gaza
di Paola Sireci
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Un fulmine a ciel sereno, un evento che nessuno (o forse tutti) si immaginava, che ha colpito la quotidianità degli utenti social, delle casalinghe a casa e anche delle persone più disinteressate. Una notizia che ha sconvolto l’equilibrio mondiale e che ha scosso, improvvisamente, l’interesse per la cronaca e il giornalismo in generale. Utenti arrabbiati, delusi, empatizzanti, presenti, sempre in attesa di aggiornamenti e testate impegnate nel riportare i dettagli dell’accaduto, collocando la notizia al primo posto tra quelle più cliccate. No, non stiamo parlando del genocidio a Gaza, neppure della repressione delle polizia durante le manifestazioni pacifiche di queste settimane, ma della presunta rottura tra Federico Lucia e Chiara Ferragni, meglio conosciuti come “Ferragnez”.
“Lo scopo di ogni apparato di informazione è quello di fornire resoconti degli eventi significativi e interessanti”, afferma la sociologa americana Gaye Tuchman in riferimento alla sovrabbondanza di accadimenti che pervadono la nostra quotidianità. L’apparato di informazione deve, quindi, selezionare quegli accadimenti per trasformarli in notizia, seguendo criteri ben precisi come, ad esempio, rendere possibile il riconoscimento di un accadimento. Ma in che modo è, effettivamente possibile trasformare un singolo evento in notizia e, nella fattispecie, la separazione dei Ferragnez? Escluse le premesse degli ultimi mesi, relativi al “Balocco Gate” in cui è stata coinvolta Chiara Ferragni, non è difficile trasformare in notizia qualcosa che già lo è. Con l’avvento dei social, in particolare di Instagram, non è semplice considerare un accadimento come una potenziale notizia dal momento che essa viene pubblicata e condivisa dagli stessi protagonisti di quella notizia attraverso i loro profili social. Cosa fa, dunque, la differenza nell’elaborazione di una notizia e soprattutto qual è il contributo del giornalismo, considerato in senso letterale e tradizionale, nel processo di informazione? Mauro Wolf, semiologo, sociologo e allievo di Umberto Eco, definisce la notiziabilità come “il processo di selezione degli elementi che contribuiscono a rendere un evento notizia”, di fatto inscritto nelle logiche organizzative e produttive delle redazioni, aggiungendo anche la definizione dei valori notizia, intesi come quella componente di notiziabilità che rispondono, di fatto, alla domanda “Quali sono gli eventi ritenuti sufficientemente interessanti, significativi e rilevanti per essere trasformati in notizia?”.
Di fatto, sono tanti i casi di cronaca rosa, cronaca nera, e attualità in generale appartenenti a persone più o meno famose: molteplici, infatti, i suicidi, gli omicidi, gli incidenti stradali, le nascite, le separazioni, etc, di cui non tutte le testate parlano, anzi; sono solo quelli portatori di sotto temi e che, quindi, diventano un pre-testo per parlare di altro, che si configurano come notizie e non solo: sono anche quelli che rispetto quei valori notizia, ossia quell’insieme di criteri che nelle redazioni orientano la scelta degli eventi notiziabili. I sociologi Golding ed Elliot definiscono criteri di scelta di un evento come notizia l’importanza e l’interesse, dove il primo è determinato da grado e livello gerarchico dei soggetti coinvolti, l’impatto sulla nazione e sull’interesse nazionale, la quantità di persone coinvolte e la rilevanza dell’evento rispetto gli sviluppi futuri di una determinata situazione mentre l’interesse concerne la capacità di intrattenimento.
Alla luce di queste osservazioni, quanto l’informazione è schiava della società? Se la notiziabilità tiene in considerazione tutti questi fattori, l’interesse e l’interazione del pubblico è fondamentale per la diffusione di una notizia ed, effettivamente, declinando questa definizione nell’attualità delle ultime settimane, è interessante osservare quanto la separazione dei Ferragnez abbia nettamente superato, in termini di interesse pubblico, notizie come il genocidio a Gaza oppure la repressione da parte della polizia delle manifestazioni pacifiche contro il genocidio, appunto, che sui social girano attraverso immagini e video volte a denunciare quello che sta accadendo: da una parte un popolo raso al suolo dall’esercito israeliano, dall’altra la trasformazione (o meglio, il ritorno) a un regime. Censura e squadrismo sono facce della stessa medaglia che delineano perfettamente il destino del nostro Paese verso una mutilazione progressiva della democrazia e, in questa triste metamorfosi, le testate giornalistiche spostano il focus verso eventi che in sé non dovrebbero diventare notizia, con l’obiettivo di ipnotizzare il pubblico.
Se da un lato gli apparati di informazione selezionano le notizie da diffondere a favore di un’informazione filtrata, manipolata e che abbindola le menti del pubblico, dall’altro esiste una fetta di lettori che subisce passivamente le notizie propinate dai mezzi di comunicazione e un’altra che, invece, apre gli occhi verso la realtà che circonda la società, fatta di guerre, repressione, e attacco alle libertà individuali e collettive. Un dualismo non trova convergenza ma che comunque propenderà sempre verso un tipo di informazione che allontani lo sguardo dalla maturazione di un’ideologia politica ben definitiva ma che, al contrario, spinga verso l’edificazione di una Santa Inquisizione social dove tutti siamo i giudici e allo stesso tempo gli imputati. il risultato? Assenza totale di consapevolezza, libertà e pensiero critico.
Perchè quest’opera?
Un’opera che rappresenta la resistenza madrilena all’invasione francese del 1808 durate la guerra di indipendenza Spagnola ma che, declinata all’attualità, rappresenta oggi più che mai la condizione di molte zone geografiche in cui persiste con forza la guerra, riducendo l’esistenza umana a una catasta di cadaveri. Tuttavia quest’opera così significativa rappresenta, allo stesso tempo, quella condanna quotidiana cui sono sottoposti gli utenti dei social a seguito della pubblicazione di contenuti sul loro profili, una fucilazione quotidiana che, però, non porta alla morte bensì al successo.
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