Oggi Stay. è Christian Dior, che racconta la società, l'arte e la politica attraverso la moda.
di Paola Sireci
Definire, attraverso la pratica artistica, le pulsioni di un mondo in trasformazione. Potrebbe sembrare la frase di un manifesto avanguardista databile al primo ventennio del XX secolo, quando nuove correnti artistiche hanno caratterizzato e segnato gli anni delle Guerre attraverso un’arte concettuale che rispecchiava le emozioni e l’anima di quegli anni. Il Surrealismo ne è la massima espressione. Eppure si tratta sempre di arte, un tipo di arte che non sempre viene riconosciuta come tale: la moda.
Passerelle chilometriche animate da modelle e modelli privi di forme e con espressioni tetre, tristi a tratti disgustate che indossano capi dalla bellezza e tendenza discutibile, una concezione di fashion lontana da quella che abita le nostre convinzioni e, diciamola tutta, i nostri armadi. Ma cos’è la moda? Semplici indumenti finalizzati a renderci più affascinanti con colori, ricami e forme? O è tutto quello che sta dietro alle caratteristiche fisiche di un capo, il concetto e la storia che lo rende tale?
Il termine, dal latino modus, significa letteralmente modo o maniera e quindi designa la norma, la regola, il tempo, la melodia, la modalità, il ritmo, il tono, la moderazione, la guisa, la discrezione, tutti sostantivi che non rimandano al semplice concetto di abbigliarsi od ornamentare il proprio corpo attraverso dei tessuti. Ed effettivamente già l’etimologia del termine suggerisce un campo semantico ampio, non circoscritto alla semplice esperienza quotidiana di ognuno di noi. Storicamente, infatti, la moda era anche pronunciata comunemente “costume”, da cui deriva - per l’appunto - la categoria “costume e società”, in quanto essa dice tutto su un determinato periodo storico, su una società, affiancandone la sua trasformazione e plasmandola.
Subito dopo la preistoria, infatti, la moda ha progressivamente iniziato a definire le differenti classi sociali in base al tipo di abbigliamento indossato e, per le donne in particolare, è diventato lo specchio della posizione del proprio marito o semplicemente del proprio stile di vita. Nel XIV secolo, poi, la sartoria si è raffinata, dando spazio a una nuova figura professionale, lo stilista, non al servizio del cliente bensì viceversa. Esso modellava il corpo del cliente attraverso tagli, tessuti e cuciture, regalando identità all’individuo: è con la nascita dell’haute couture, infatti, consolidata dall’inglese Charles Fréderic Worth, che la moda cambia accezione configurandosi come mezzo di potere per definire le classi sociali e, più in generale, la società, andando avanti sempre più vigorosamente in questo intento malgrado le leggi suntuarie, molto diffuse al tempo in Italia, che avevano l’obiettivo di limitare il lusso e stabilire un codice deontologico d’abbigliamento. Normative che hanno avuto vita breve attraverso una moda che non guarda il pudore, il decoro, la piacevolezza visiva ma soprattutto il giudizio.
Le famose settimane della moda di Milano, Parigi, New York Londra sono, infatti, espressione di quel mondo così lontano dalla nostra esperienza quotidiana della moda che, ahimè, spesso confondiamo con la tendenza: indossiamo uno stile o dei capi che rappresentano la tendenza del momento, che ci fanno sentire piacevoli ai nostri occhi e a quelli degli altri, mettendo al primo posto la bellezza, ignorando e spesso sottovalutando, invece, la reale funzione della moda che non mira all’approvazione ma che, al contrario, ha l’obiettivo di contestare, criticare, assumendo potere e valore all’interno della nostra società.
I più grandi stilisti come Elsa Schiaparelli, Christian Dior, Yves Saint Laurent, Coco Chanel, Paco Rabanne, Domenico Dolce & Stefano Gabbana e tanti altri, devono il loro successo non solo alla loro capacità di disegnare e produrre capi di abbigliamento unici, quanto alla definizione di uno spazio e di un tempo nel quale far muovere le loro collezioni, ispirati dai più grandi artisti di tutti i tempi. Nei capi di Elsa Schiaparelli, ad esempio, è evidente la traccia dell’onirico di Salvador Dalì o di elementi surrealisti di Pablo Picasso, come dimostra la collezione Primavera Estate del 2022 presentata a Parigi.




Persino Christian Dior, con il suo esordio nel 1942, ìdea una moda avanguardista rispetto quegli anni bellici – che oggi può essere definita banale e semplice – in cui vengono messe in risalto le linee della donna attraverso abiti eleganti, raffinati, ricchi di dettagli, imbottiture e rinforzi, caratteristiche che lo hanno configurato il padre della moda che oggi ci portiamo dietro, tanto da imporre le sue regole stilistiche, farle subire anche ai suoi colleghi. Una delle prime collezioni incisive aveva come elemento chiave le lettere dell’alfabeto, come la linea H introdotta nel 1954 volta ad allungare la linea femminile, per lasciare il posto alla Y e alla linea A, quest’ultima molto diffusa nel cinema classico americano e italiano.



Dopo la sua morte, tuttavia, molti stilisti, tra cui Yves Saint Laurent, hanno preso parte e diretto La maison, oggi attiva con collezioni uniche che solcano le passerelle della settimana della moda in modo autentico, creativo e unico. Nella sua sfilata di presentazione della collezione Cruise nel 2022, Maria Grazia Chiuri, direttore creativo della maison Dior, ha portato sul palcoscenico la civiltà greca, prendendo spunto da bozzetti disegnati da Monsieur Dior nel 1951 nei pressi del Partenone, un desiderio di comprendere il mondo di oggi attraverso l’antichità, filtrando la propria osservazione attraverso l’arte e i quadri di Giorgio De Chirico, padre della pittura metafisica.
Innovativa e sovversiva la collezione inverno del 2021-2022, debutto di una socialità ormai dimenticata con la pandemia e sostituita dalla virtualità, che la Chiuri ha tentato di rimpiazzare con una sfilata in cui colori, musiche, scenografie e abiti evocano speranza e fisicità attraverso ricami e forme collegate alla vista e al tatto, in un involucro ispirato all’opera di Eva Jospin Chambre de soie, volte a ricreare le tappezzerie indiane di Palazzo Colonna (di cui l’immagine scelta oggi è la guida dell’articolo).
Come Dior, sono molti gli stilisti che hanno usato, e continuano a farlo, la moda come mezzo per esprimere una società in continuo cambiamento, al fine di portare messaggi e invitare l’osservatore a fare un’esperienza immersiva dal punto di vista artistico, storico, sociale e di intrattenimento. Diesel, in occasione della sua ultima sfilata alla Milano Fashion Week, ha fatto sfilare le sue modelle su uno sfondo di condom che invitavano a fare sesso protetto perché “i giovani non hanno regole”, come affermato da Renzo Rosso, fondatore e azionista dell’azienda: una provocazione che possiede tutti i requisiti per definire l’azienda socialmente coinvolta in campagne sociali. Oppure la sfilata più virale della settimana della moda di Parigi 2023 degli stilisti controcorrente e irriverenti Viktor & Rolf che hanno stupito con abiti da gran ballo ampi e in tulle che si distaccano dal busto delle modelle, capovolti, che sfidano la forza di gravità: abiti che prendono le distanze fisicamente dai corpi e metaforicamente dal concetto di alta moda.
Un mondo creativo, incompreso e, a volte, sottovalutato quello della moda, così apparentemente superficiale perché collegato all’idea di estetica e bellezza ma dietro al quale c’è molto di più, la volontà di analizzare il mondo, di rappresentarlo in modo artistico, di esprimere una società in continuo cambiamento, decadente, superficiale. Dall’altro lato, invece, l’intento di soddisfare i cinque sensi attraverso scelte stilistiche che arrivino senza filtri, stimolando quella sfera emotiva il più delle volte dormiente e anestetizzata dalla tecnologia, che ci sta facendo progressivamente perdere la percezione e la ricerca del bello, di quell’edonismo che colleghiamo solo ed esclusivamente alla sfera sessuale ma che l’arte, più di qualsiasi altra cosa, può regalare attraverso l’evocazione e il sentimento.