Musica e sostenibilità: un connubio quanto mai necessario
Illustrazione di Harsha Ann (@harshaannart)
“Se bastasse una bella canzone..
si potrebbe cantarla un milione di volte”
Così cantava Eros Ramazzotti in una celebre canzone.
In merito alla tematica che vogliamo proporvi oggi, dove la musica è protagonista, sembrerebbe proprio che una canzone non basti. Parliamo infatti, di un aspetto strettamente correlato all’industria musicale ma che spesso viene eclissato, la sostenibilità ambientale nell’industria della musica. Al giorno d’oggi sentiamo parlare di sostenibilità continuamente, in ogni campo e seppure quello musicale non fa eccezione, non tutti sanno effettivamente che anche questo tipo d’industria è “colpevole” di produrre un’ingente inquinamento.
Quando acquistiamo un vestito su un sito low cost, compriamo un biglietto aereo ad un prezzo stracciato o beviamo la bibita che più ci piace in un contenitore di plastica, siamo consapevoli che il nostro risparmio economico e la nostra comodità in quel momento danneggiano l’ambiente. Dall’altro canto quante volte acquistando il biglietto per un concerto, o magari l’ultimo CD, del nostro cantante preferito ci siamo chiesti se fossero azioni sostenibili? Se tangessero all’ambiente? Questo perché molto spesso non si ha nemmeno una minima idea di quanto l’industria musicale sia poco sostenibile; basti pensare alle tonnellate di plastica che negli anni sono state impiegate per produrre cassette, CD e vinili, alla carta per produrre i biglietti e la cartellonista. Per non parlare dell’inquinamento che può causare un concerto, dall’energia elettrica che serve per l’impiantistica, all’accumulo di plastica lasciata dagli spettatori, tant’è che in molti concerti sono vietati i contenitori di plastica.
Si potrebbe pensare che lo streaming abbia perlomeno in parte migliorato la situazione, e in effetti la plastica utilizzata per produrre i CD e i vinili è drasticamente diminuita. Tuttavia anche i servizi di streaming hanno un alto impatto a livello di inquinamento prodotto. Si stima infatti che l’ascolto di musica in streaming produca circa 350 milioni di chili di gas serra all’anno, a causa del notevole dispendio di energia elettrica che serve per raffreddare i server, che sono continuamente in funzione.
Molti artisti, da Ligabue a Eros, hanno cercato di “rimediare” all’inquinamento prodotto dalla realizzazione dei CD e dai concerti, devolvendo spesso gli incassi a favore di iniziative ambientali, ma in particolar modo battendosi in prima persona a favore dell’ambiente, cercando di sensibilizzare le persone ad attuare comportamenti più sostenibili anche in situazioni goliardiche, come le manifestazioni musicali.
Per introdurre la nostra tematica vi proponiamo l’immagine di una giovanissima artista Harsha Ann (@harshaannart), che nelle sue opere propone un connubio a dir poco eccezionale tra ambiente e arte. In questa illustrazione in particolare propone il delicato intreccio tra natura e musica.
Paola Martinelli
In che modo l’industria musicale impatta sull’ambiente?
di Francesca Staropoli
“Sostenibilità” è una parola ormai sulla bocca di tutti, usata e spesso abusata in contesti aziendali e nel dibattito pubblico. Le sfide che ci presenta il cambiamento climatico ci impongono di pensare a modi sostenibili per produrre, consumare, vivere. A fare attrito c’è però la pandemia, che ha colpito duramente in modo capillare moltissime industrie, e quella musicale non è stata risparmiata. Il rallentamento della vita e l’impossibilità di andare ai concerti si sono tramutati in un’impennata di vendite di vinili, supporti più costosi dei normali cd, ma che si sono rivelati ottimi sostituti in un lungo periodo senza eventi live. La cantante neozelandese Lorde ha compreso subito la piega che stavano prendendo gli eventi e durante la presentazione del suo ultimo album “Solar Power” - uscito il 20 agosto 2021 - ha rivelato la presenza di ben due opzioni in vinile, ma di nessun cd. Lorde ha spiegato che si tratta di una scelta ambientalista, poiché il ciclo di vita di un cd è piuttosto breve e la mole di plastica usata e di gas serra emessi necessari per la produzione sono notevoli, così come l’impatto del rifiuto a fine vita. Ma nei fatti il vinile non è un prodotto ecologico, dato che i problemi appena citati incidono notevolmente di più per la produzione di questo supporto. Un vinile richiede infatti 120 grammi di plastica per essere formato, più del doppio dei 58 grammi necessari per un cd, e sempre per un singolo prodotto è stato calcolato che un vinile comporti l’emissione di 2,2 kg di gas serra, dodici volte quelli emessi per un’unità di cd (172 grammi). Però, è anche vero che chi acquista un vinile non lo fa per consumarlo e basta, ma perché ama collezionarlo: i costi e le emissioni maggiori sarebbero quindi compensati da una lunghezza del ciclo di vita molto più elevata. Il ritorno del vinile è aumentato vertiginosamente nella decade 2010 -2020, creando una domanda scoperta nel 2021. A dirlo sono i dati: se nel 1998 la domanda mondiale si attestava sui 200 milioni, scendendo ai 40 milioni del 2009, ed era sempre stata coperta, nel 2021 la domanda soddisfatta è stata di 160 milioni di unità, inferiore rispetto alla domanda rimasta scoperta, di ben, pensate un po’, 200 milioni di copie. Sulla scia della tendenza sono stati infatti moltissimi gli artisti che, come Lorde, sono voluti uscire con singoli e album in formato vinile, ma la produzione è affidata a soli 100 impianti di produzione nel mondo. Secondo Colin Morrison, fondatore dell’etichetta indipendente britannica di musica elettronica Castles in Space, siamo arrivati a un punto di rottura per il dislivello tra domanda e offerta: se già negli anni subito precedenti al Covid-19 una produzione di vinili per un artista richiedeva dai 3 ai 4 mesi, adesso essa si attesta a un anno e probabilmente i tempi saranno destinati ad allungarsi ancora. Le scelte di consumo degli affezionati alla musica fisica sono, comunque, di gran lunga battute dallo streaming musicale che caratterizza l’era della “musica liquida”. Ma la musica digitale è più sostenibile? No, stando a uno studio congiunto pubblicato l’8 aprile 2019 dalle università di Glasgow ed Oslo che ha segnalato come i soli Stati Uniti producono da soli più del doppio dei gas serra emessi nel mondo intero negli anni 2000. Questi sono frutto dell’ingente consumo di energia elettrica che fa funzionare i server delle piattaforme di streaming. In pratica si parla di fast-music come corrispettivo del fast-fashion, che conviene al portafoglio ma non all’ambiente.
L’altro grande ramo all’interno dell’industria musicale è quello dei concerti: la Cleane ha stimato che nel 2019, 1.000 DJ in tournée hanno preso più di 51.000 voli in tutto il mondo, il che equivale a una quantità equivalente di CO2 prodotta da oltre 20.000 famiglie in un anno. La pandemia ha bloccato per più di un anno i live, che ora sono ricominciati con una nuova consapevolezza per molti artisti e aziende del settore.
Il celeberrimo festival Coachella, secondo il Desert Sun, crea 107 tonnellate di rifiuti, di cui solo il 20% viene riciclato. Se pensiamo al fatto che questo festival ogni anno attira più di 120.000 persone in un deserto, il conteggio delle bottiglie di plastica consumate durante l’evento risulta massiccio.
Vista la cospicua fetta di inquinamento prodotto dall’industria musicale, artisti e organizzatori stanno studiando modi per rendere la musica più sostenibile: per quanto riguarda il festival Coachella, stando a uno studio della Yale University e della George Mason University, l'età dei suoi partecipanti è la stessa di coloro che sono più preoccupati per il cambiamento climatico e così, nel 2020, il Coachella ha annunciato che avrebbe adottato misure per essere più rispettoso dell'ambiente, tra cui l'uso di bottiglie d'acqua riutilizzabili per ridurre la quantità di rifiuti di plastica.
Per l'evento di quest'anno, che durerà due settimane, il festival ha invece annunciato la campagna "For Our Planet", che incoraggia i fan a utilizzare la navetta e il carpooling per raggiungere il festival e a utilizzare i contenitori per il riciclaggio che saranno posizionati in tutto il parco. “For Our Planet”, per motivare i fan a partecipare al progetto, premia con omaggi i fan che raggiungono l'evento in bicicletta. Il festival, inoltre, premia - anche con pass per backstage e prodotti degli artisti - i partecipanti che si accampano invece di viaggiare avanti e indietro per tutto il fine settimana. Tra i premi in palio ci sono anche pass per il backstage e prodotti degli artisti.
A proposito di artisti, tre in particolare si sono già mossi per favorire la sostenibilità dei loro concerti: Billie Eilish, Harry Styles e Lorde. Tutti e tre hanno collaborato con REVERB, un'organizzazione no-profit dedicata a rendere la musica dal vivo più ecologica, che descrive così la sua mission: "Unendo la musica che amiamo, affrontando l'ambiente e le questioni sociali che dobbiamo affrontare, REVERB è un'organizzazione no-profit dedicata a mettere milioni di individui nelle condizioni di agire verso un futuro migliore per le persone e il pianeta".
Ogni locale convenzionato con REVERB vende bottiglie d'acqua riutilizzabili. Con l'acquisto di una bottiglia d'acqua, i fan donano una somma di denaro all'organizzazione nella lotta contro il cambiamento climatico. Anche le cannucce di plastica sono state bandite da questi luoghi e le stazioni di rifornimento dell'acqua sono state collocate in tutto l'atrio per offrire un modo accessibile e sostenibile di rimanere idratati durante lo spettacolo.
La lista di artisti che passano messaggi volti a sensibilizzare i fan sulla questione ambientale è sempre più lunga, e non solo tramite i testi di canzoni ma con gesti sempre più concreti, come quello di parlare al pubblico presente ai concerti tra un brano e un altro, in un gesto di attivismo ambientale, perché il cambiamento climatico è una responsabilità condivisa che azzera il confine tra palco e pubblico, tra musicista e fan.
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Alla scoperta di realtà poco conosciute. Analisi dell’immediato presente. Curiosando nel tempo libero.
Fatti, e non, che ci piace sapere.
Myanmar: il regime è sempre più forte, mentre l’opposizione si divide fra interessi privati e disuguaglianze etniche.
di Amina al Kodsi
Nella giornata di sabato 23 luglio la giunta militare, salita al potere con un golpe lo scorso febbraio, ha eseguito ben 4 condanne a morte nel Myanmar. Si tratta di quattro attivisti pro-democrazia, fra cui figura anche l’ex parlamentare Phyo Zeya Thaw.
I quattro erano stati condannati ai sensi della legge anti-terrorismo. I processi si erano tenuti a porte chiuse a gennaio e ad aprile, in aperta violazione di tutte le procedure giudiziarie.
Le esecuzioni sono state annunciate dal quotidiano statale Mirror Daily.
I media statali non hanno ancora reso noto in che modo gli uomini siano stati giustiziati. E’ molto probabile però che siano stati impiccati, come di solito avviene nella prigione di Insein, il famigerato penitenziario a forma di orologio divenuto famoso per il sovraffollamento, i maltrattamenti e le condizioni disumane in cui versano i detenuti.
Si tratta delle prime esecuzioni di prigionieri politici che avvengono nel Myanmar dalla rivolta studentesca del 1988, la celebre rivolta “888”.
L’escalation di violenza preoccupa il Paese e ad oggi si teme che la stessa sorte possa presto toccare ai 117 detenuti che si trovano attualmente nel braccio della morte, dopo essere stati condannati in processi-farsa simili a quelli che hanno visto coinvolti i quattro attivisti giustiziati.
Secondo l’AAPP (Assistance Association for Political Prisoners), dal colpo di stato ad oggi sono state ben 14.898 le persone arrestate e 2.131 quelle uccise dalla giunta.
I gruppi di resistenza continuano a combattere strenuamente contro il regime, specialmente nelle aree rurali, spesso soggette ad attacchi militari più brutali.
Purtroppo sebbene all’inizio sembrasse che la resistenza fosse compatta e unita, galvanizzata da una liberale e democratica Generazione Z, ora le divisioni all’interno dei gruppi di opposizione si stanno facendo sempre più evidenti e insanabili.
Eppure il popolo birmano dovrebbe ormai aver capito che sono proprio gli attriti all’interno dell’opposizione, nonché quelli fra i numerosissimi gruppi etnici presenti nel Paese, ad agevolare l’operato dell’esercito birmano, anche noto come Tatmadaw. Lo stesso Tatmadaw che sta ora strumentalizzando le leggi "anti-terrorismo" che aveva usato per espellere dal Paese i Rohingya, la minoranza etnica di religione musulmana, contro gli attivisti birmani pro-democrazia a Yangon, Mandalay e Naypyidaw.
E’ giunto il momento che i birmani capiscano che per combattere un’istituzione granitica e unitaria come il Tatmadaw, la coesione e l’unità sono i primi strumenti di cui è necessario armarsi.
Invece la faziosità all’interno dell’opposizione, che aveva peraltro afflitto per decenni il processo di riconciliazione nazionale, e la profonda disuguaglianza etnica e razziale continuano a minare l’efficacia della resistenza ancora oggi.
Purtroppo spesso, anche quando è la storia stessa a impartirci dure lezioni, le cattive abitudini sono quasi sempre le ultime a morire.
Attimi rubati.
di Chiara Rebeggiani
L’altro giorno pensavo: “Sono l’unica ancora inchiodata a Roma insieme ai turisti e alle zanzare!”.
Aspettando con ansia l’arrivo delle ferie mi sono concessa un po’ di fresco extra in pieno centro. Roma infuocata da un caldo africano con l’asfalto bollente che per un momento mi ha fatto credere di aver preso parte a una delle fasi di The Floor is Lava ma in un’ottica drammatica.
Roma a questo punto dell’anno è quasi vuota, il parcheggio easy da trovare e poi la mia oasi in mezzo a questo deserto urbano.
In mostra all’Ara Pacis, dal 28 maggio al 4 settembre, 130 scatti di Robert Doisneau, considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada.
La mostra è a cura di Gabriel Baueret critico e curatore francese.
Robert Doisneau, che tutti conosciamo per il suo celebre scatto “Baiser de l’Hotel De Ville” che, oltre a raccontare il romanticismo immortalato in una Parigi caotica e frenetica scattata negli anni cinquanta per la rivista “Life”, è a mio avviso il ladruncolo di attimi di vita quotidiana. Il suo genio era infatti quello di porre al centro dei suoi scatti le emozioni dell’uomo. Rubava attimi di vita, emozioni, sguardi.
Il percorso espositivo è articolato in undici sezioni, ognuna delle quali ripercorre alcune tappe del suo lavoro fotogiornalistico. La sezione “Concierges” è stata la parte migliore della mostra, almeno per quanto mi riguarda. L’arte nelle sue esplicite forme è così, in ognuno suscita emozioni e sensazioni diverse. “Concierges” è stato per un attimo respirare l’odore di una Parigi degli anni cinquanta, camminare per le strade e guardare le portinaie. Come diceva Doisneau: “La vera Parigi non può essere concepita senza i suoi portinai”.
L’Ara Pacis è vuota, fresca e ordinata.Percorro i suoi corridoi nudi e ben presto mi accorgo che ogni scatto mi trattiene più del tempo concesso. Siamo io e Doisneau e nessun altro e per un momento mi chiedo se da qualche parte il mio sorriso, guardando i suoi capolavori, non sia stato rubato dalla sua macchina fotografica.
Cari lettori,
anche per la redazione di Stay. è giunto finalmente il momento di andare in vacanza! Con la newsletter di oggi vi salutiamo, ma non vi lasciamo soli 😊 Per farvi compagnia sotto l’ombrellone, infatti, abbiamo già programmato le prossime due uscite del mese di Agosto. Senza fare uno spoiler, possiamo anticiparvi che si tratterà di edizioni decisamente più letterarie del solito: la nostra Chiara Rebeggiani firma una bella storia da leggere anche comodamente sdraiati in spiaggia!
Riprenderemo la consueta attività editoriale a Settembre. Vi porteremo le nostre migliori cartoline, non perdetele 😉