La povertà in Italia
La città è un teatro antico: una grande arena in cui si incontrano e scontrano personaggi e storie. Simbolo di progresso e di opportunità, l’urbe non è tuttavia scevra da stridenti contraddizioni. Benessere e lavoro sì, ma non per tutti. Civiltà ed equità sì, ma non ovunque. Cultura sì, ma a un alto prezzo. Le persone sono lì nel mezzo, impegnate a non farsi sopraffare dagli effetti collaterali di una società che paradossalmente più guardano e meno riconoscono. Paola Sireci – fotografa freelance e redattrice di Stay. – vive la città “scostando i sipari”, catturando i personaggi che in quel momento transitano sulla scena e dando vita ad un racconto imprevedibile e onesto. La scorsa edizione si apriva con un suo scatto controverso: un atto feroce che voleva forzare il lettore a guardare e a sdegnarsi, ad uscire dalla propria zona di confort. Oggi, dallo stesso occhio arriva un’altra donna, un’altra non-posa e un gesto antitetico. Così Stay. prova a fare luce sul concetto di povertà, chiedendosi cosa sia e cosa implichi, riportando l’esperienza di chi la incontra e la cura ogni giorno.
Teresa Giannini
Voci di Stay.: Maura, un “Angelo della città”
il podcast di Chiara Conca e Paola Martinelli
I nuovi poveri in Italia potremmo essere noi, ma forse non ce ne rendiamo conto.
di Amina Al Kodsi
Quando pensiamo alla povertà le prime immagini che ci vengono in mente riguardano persone che chiedono la carità e senza tetto, ma in realtà quand’è che una persona può essere considerata realmente povera?
Se volessimo misurare l’indice di povertà di una popolazione potremmo avvalerci di un parametro che tenta di stabilire il livello di reddito al di sotto del quale una persona può essere considerata indigente, la cosiddetta soglia di povertà assoluta. Si tratta di un indicatore che varia in base a molteplici fattori come la regione e la zona in cui ci si trova. Secondo i dati raccolti dall’Istat, se volessimo ad esempio prendere in considerazione una famiglia composta da due trentenni residenti nel centro Italia in una zona centrale metropolitana, la soglia di povertà assoluta relativa al 2020 sarebbe pari a 1.098,50 euro. Una soglia che aumenterebbe a 1.331,18 euro se la coppia avesse un figlio di età compresa fra i 4 e i 10 anni e a ben 1.580,51 euro se di figli ne avesse due della medesima età.
Considerando che l’affitto di un trilocale in una zona semi-centrale di una città come Roma si aggira intorno ai 1000 euro e che, ad oggi, un buono stipendio medio è pari a poco più di 1.500 euro netti mensili, ma che allo stesso tempo il tasso di disoccupazione si attesta al 9% e che fra gli occupati il numero di lavoratori che vive in condizioni di instabilità e precariato o che percepisce retribuzioni minime è pari a 6,7 milioni, non è difficile trarre delle ovvie conclusioni.
Alla luce di tutti questi elementi infatti abbiamo non solo la conferma definitiva che l’epoca della famiglia media monoreddito appartiene ormai al passato, ma maturiamo anche la preoccupante consapevolezza di quanto il confine fra la classe lavoratrice media e i cosiddetti “poveri” sia estremamente labile. Secondo un dato divulgato dal Centro Studi di Unimpresa relativo alla fine del 2021, quasi 11 milioni di italiani sono oggi a rischio di povertà, circa il 15% in più rispetto al 2015.
Un dato che non ci stupisce affatto se consideriamo l’aumento esponenziale del numero delle famiglie in difficoltà negli ultimi anni. Nel 2020 infatti, stando all’ultimo rapporto redatto dalla Caritas sulla povertà a Roma, sono state in totale 21.160 le persone accolte, di cui il 35,3% per la prima volta. Fra i nuovi accolti il 48,7% era di nazionalità italiana. Il Covid-19 ha certamente inferto il colpo di grazia, ma la città di Roma, come viene sottolineato nel rapporto, si trovava “già in forte affanno”. Questo perché il collasso economico di cui tanto si parla non è stato causato dal Covid-19.
Le grandi città e con esse l’Italia nella sua totalità erano già in crisi, la pandemia l’ha solo resa più evidente mettendo in luce tutte le fragilità di un sistema che non è più sostenibile. La sfida del capitalismo, secondo cui in base ad un meccanismo meritocratico chiunque dotato di buona volontà avrebbe avuto la possibilità di arricchirsi in modo democratico, è stata definitivamente persa e questo risulta evidente specialmente nel contesto urbano, simbolo della società dei consumi.
Un contesto che ormai da moltissimo tempo non rappresenta più la terra delle facili opportunità, ma che è piuttosto fautore di diseguaglianza sociale e povertà. Un contesto in cui il degrado, la sporcizia e la delinquenza non sono soltanto il volto di un sistema che evidentemente non funziona, ma rappresentano anche la parte più profonda di un processo sociale degenerativo che forse incarna l’essenza stessa del capitalismo. Un capitalismo in cui le grandi metropoli fanno da sfondo ai goffi e tragicomici tentativi di scalata sociale dell’uomo medio moderno, che come in “Parasite”, il capolavoro di Bong Joon-ho, tenta di emergere in superficie e di evolversi dalla sua condizione di uomo-scarafaggio barcamenandosi affannosamente fra l’incertezza economica e il precariato.
Come i protagonisti del film, l’italiano medio ha sperato di essere parte di un sistema che lo rigetta, ha creduto e continua a credere di far parte di una corsa al progresso che in realtà non lascia ai margini solo profughi e senza tetto, ma anche la classe lavoratrice alla quale appartiene. Una classe lavoratrice che attualmente vive, più o meno consapevolmente, in una sorta di limbo in cui può permettersi tranquillamente l’aperitivo con gli amici o l’acquisto di una borsa di marca, ma che non potrà mai permettersi di acquistare una casa o di pagare gli studi universitari dei figli.
Una classe media che appaga il suo bisogno di appartenenza attraverso l’acquisto di beni di consumo e che riempie i propri profili social di foto di aperitivi in locali all’ultima moda e di viaggi in posti esotici, nel tentativo disperato di rimarcare l’illusoria adesione a certi standard di ricchezza o ad un certo lifestyle, come si è soliti dire oggi. La realtà che si cela dietro a queste fittizie immagini di benessere è però tutt’altra. Per gli aperitivi l’italiano medio sceglie infatti sempre la formula dell’ “all you can eat” in modo da risparmiare i soldi della cena e i viaggi li fa solo con Ryanair stando attento anche al centesimo.
Se da un lato quindi i profili social traboccano di immagini in cui viene ostentato uno stile di vita falsato, i conti in banca sono sempre più in rosso. Undici milioni di italiani quest’anno potrebbero infatti dover scontrarsi con la dura realtà. Una realtà lontana da quella patinata e rassicurante dei social e che li vedrà per la prima volta poveri.