La notte in cui la luna scomparve
Parte 1/4 di un racconto fantastico firmato da Teresa Giannini
Caro lettore,
l’autrice del racconto che stai per leggere sono proprio io, Teresa. Ho scritto questa storia diversi anni fa, in un momento in cui avevo bisogno di insegnare a me stessa la differenza sostanziale tra ciò che è inspiegabile e ciò che invece rimane inspiegato. Soprattutto volevo imparare ad accettare e a lasciare andare. Perciò ti affido queste righe con l’affetto che nasce dal guardare una vecchia foto di scuola.
Buone vacanze e buona lettura!
1.
Giurerei che fosse ancora ben salda lì quando sono andato a dormire, al posto di sempre. In alto, insieme ad un qualche altro migliaio di luci. Molto più che un qualche migliaio in verità, ma considerando le capacità di un occhio comune, mi perdonerete un’approssimazione grossolana.
Dicevo… Sono andato a dormire alla solita ora quella sera, le 22.17, per questo lo ricordo bene. Ho guardato come di consuetudine fuori dalla finestra prima di chiudere le tende e posso garantire di averla vista, appena al di sopra del salice che ho in giardino. Non posso sbagliarmi, a quell’ora è sempre stata proprio lì in quel punto.
Nella vita sono un disordinato eh. Casa mia è un disastro! Non che sia sporca, perché la sporcizia, quella non la sopporto assolutamente, ma è un caos. Cercare qualcosa con la speranza di ritrovarla, in casa mia è impensabile, devi conoscere le coordinate esatte di ogni oggetto che entra nel suo sistema, e andare a colpo sicuro. Sei praticamente costretto a non dimenticare mai nulla.
Qualche settimana fa, ad esempio, sono uscito con degli amici per andare in un locale in città. Essendo fine estate non avevo ancora a portata di mano abiti pesanti, ma la serata era piuttosto fresca, così ho dovuto scavare un po’ nel mio armadio alla ricerca di una giacca che potesse essere adatta. Dopo diversi tentativi, sono riuscito a tirare fuori una giacca di pelle, con un buon rapporto tra capacità isolante e decenza stilistica, vi ho trasferito il portafogli che avevo lasciato nel jeans abbandonato sulla sedia in cucina, e sono uscito.
All’entrata del locale mi hanno chiesto un documento di riconoscimento, così ho tirato fuori il portafogli dalla tasca destra della giacca, ho preso la mia patente di guida e l’ho consegnata alla sicurezza. Per qualche motivo, l’addetto ai controlli aveva dei sospetti sulla validità del mio documento e mi ha chiesto di attendere. In quel frangente, ho istintivamente rimesso il portafogli nella tasca da dove l’avevo preso e, essendomi riscaldato, ho sfilato la giacca. Quando l’omone all’ingresso si è convinto della mia maggiore età (ho 28 anni, per la cronaca), o della mia cittadinanza, o di non so cosa avesse bisogno di convincersi, mi ha restituito la patente e io, invece di rimetterla nel portafogli, l’ho infilata in un taschino della giacca a casaccio.
Errore, grosso errore.
Dopo aver bisbocciato fino alle 5.00 del mattino, tornato a casa assonnato e leggermente sbronzo, mi sono spogliato frettolosamente, buttando prima di tutto il portafogli sul tavolo all’ingresso, poi le scarpe accanto al portaombrelli, i jeans sulla poltrona del soggiorno, giacca sul cesto di vimini ai piedi della scala che porta alle camere da letto e, infine, camicia e boxer nella vasca da bagno.
Quell’ingombrante cesto di vimini l’ereditai, insieme ad un’altra montagna di cianfrusaglie, da una cugina di mia madre morta una decina di anni fa. Mi voleva molto bene e non avendo avuto figli, alla
sua morte pensò di lasciare a me tutti i suoi averi. Pochi soldi in banca, un gatto vecchio e malato, una ragguardevole collezione di francobolli e gli arredi dell’appartamento dove aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita. Spesi i soldi per pagarmi un viaggio negli Stati Uniti, il gatto morì qualche mese dopo di lei, mia madre volle vendere la collezione di francobolli ad un’asta di beneficenza a favore della ricerca contro l’Alzheimer, e regalammo quasi tutti i mobili ad un centro per anziani. Conservammo per noi, per la mia famiglia intendo (mia madre, mia sorella minore ed io), il cesto di vimini, qualche coperta, una macchina da scrivere e un album di foto di famiglia.
Mi sono trasferito in questa casa 3 anni, 4 mesi e 12 giorni fa. All’epoca devo senz’altro aver pensato di avere bisogno di una cesta dove lasciare i panni sporchi, concludendo che sarebbe stata una buona idea portarmi dietro il cesto di vimini della cugina defunta.
Appena dopo qualche settimana dal trasferimento, i panni sporchi hanno via via invaso ogni angolo della casa, conquistando dapprima tutte le camere del piano di sopra, compreso il bagno, poi il soggiorno e occasionalmente anche la cucina. Questo, lo capite anche voi, ha declassato il cesto di vimini, da oggetto potenzialmente utile a scomodo ingombro. Avrei dovuto buttarlo, decisamente avrei dovuto, eppure tre anni dopo era ancora lì, a tendermi indisturbatamente trappole come quel sabato…
Ah giusto! Stavo raccontando proprio di quel sabato lì, sì!
Bene, arrivato a casa stanco e mezzo ubriaco, ho lanciato la giacca sulla cesta e sono corso a letto in tutta la mia goffaggine. Ore dopo, svegliandomi affamato, ho deciso di invitare mia mamma e mia sorella a pranzo a casa, così da poter approfittare dei loro manicaretti della domenica, che al solo pensarci mi fanno salire l’acquolina in bocca anche adesso. Sono sceso giù per le scale con gli occhi ancora parzialmente offuscati e la bocca impastata, ho composto il numero telefonico fidandomi della memoria muscolare delle mie dita e ho invitato il mio pranzo a venire da me.
Due secondi di silenzio, un bel respiro profondo, stiracchio le braccia verso l’alto, mi strofino gli occhi… La luce del sole entra prepotente dalla finestra e mi ricorda di dover ancora accendere il cervello. Eccomi, sono io, sono vivo e ho fame. Mi guardo intorno senza motivo apparente. Sono sveglio e ho fame, ma il pranzo non tarderà ad arrivare. Sono sveglio e puzzo, devo lavarmi.
Mi guardo nuovamente intorno, mi gratto la testa… oh maledizione! Vestiti buttati ovunque a caso, fogli sparsi qua e là su mobili e tappeti, montagnole di libri accanto a ogni lampada o poltrona della casa, posate, bicchieri e piatti dimenticati nei posti più improbabili che si possano immaginare.
Ho quaranta minuti di tempo per riportare questa casa, e me stesso, allo stato di decoro minimo universalmente riconosciuto.
A ripensarci adesso, davvero mi stupisco dell’impresa epica che sono riuscito a portare a termine in così poco tempo. È stato come scoprire improvvisamente di avere dei superpoteri e di poter fare tutto. Se solo mi fosse venuto in mente di sollevare la macchina parcheggiata davanti casa, o un’altra cosa completamente insensata che possa venire in mente a chiunque abbia appena realizzato di avere dei superpoteri, probabilmente avrei scoperto di avere una forza soprannaturale. La velocità supersonica,
quella la stavo testando di sicuro: trenta minuti per riportare alla luce il pavimento in parquet, sgomberare ogni tipo di seduta da tutto ciò che vi si era accumulato sopra, far partire lavatrice, lavastoviglie, riordinare i libri nelle librerie e buttare tre sacchi di oggetti e vestiti che non riconoscevo nemmeno più essere stati miei, infine radunare tutti i vestiti sparsi qua e là nella cesta di vimini accanto alle scale.
Errore! Di nuovo un grosso errore!
Tanto per dare un’idea della vastità tematica dei reperti che ho ritrovato quel giorno, sappiate che in uno di quei sacchi è finita anche una lettera, mai aperta prima di quel momento, di una mia ex ragazza.
Eravamo una bella coppia, finché qualcosa non ha iniziato a rompersi facendola allontanare, ma nella lettera confessava di aver sbagliato a lasciarmi andare e mi chiedeva di incontrarci nel nostro ristorante preferito, pochi giorni dopo, alle 13.00.
Chissà perché non l’avevo aperta… chissà come mi sia passato di mente di averla mai ricevuta! Mi sono anche intristito al pensiero di lei, ancora innamorata, seduta al nostro solito tavolo ad aspettarmi, completamente sola. Se avessi letto la lettera, sarei andato da lei quel giorno, perché ero ancora molto preso (o forse no, dovrei concludere a questo punto).
Certo che delle volte la vita fa giri strani. Ho passato mesi senza darmi pace, nella convinzione che lei si fosse stufata di me, e dopo un anno e mezzo ho dovuto concludere che forse ero stato io quello a stufarsi e di cosa poi?
Beh, non tutte le coppie nascono per durare in eterno, alcune storie d’amore sono come il caffè ristretto, intense, amare, fugaci e assolutamente necessarie.
Tornando a noi, mi succede spesso, di divagare voglio dire.