La notte in cui la luna scomparve
Parte 2/4 di un racconto fantastico firmato da Teresa Giannini
Caro lettore,
la settimana scorsa abbiamo pubblicato il primo episodio di questo racconto diviso in 4 parti. Oggi è la volta della seconda puntata. Magritte, artista senza tempo, ci aiuta come sempre a entrare nel mondo onirico a cui tanto deve il reale.
Buona lettura e buon ferragosto!
Trenta minuti per trasformare casa mia in quella di un ragazzo ordinato e altri 7 per adeguare il mio aspetto a quello che avrebbe avuto tal fantomatico individuo. Doccia, shampoo, unghie dei piedi, barba, denti e poi un paio di jeans, maglietta bianca e due generosi spruzzi di profumo. 3 minuti per rilassarmi e toc toc, il pranzo è servito.
Superato il test dell’ispezione familiare, i pretesti per riordinare si sono stancati velocemente e nell’arco di pochi giorni è tornato tutto esattamente com’era prima. Io sono sempre io dopotutto. Non avrebbe nemmeno troppo senso aspettarsi qualcosa di diverso. Sta di fatto che la seconda lavatrice, quella che avrei dovuto fare con i vestiti ammassati frettolosamente nella cesta di vimini, è passata drasticamente in secondo piano.
Errore, errore, errore!
La giacca, quella di pelle, quella che avevo usato per uscire con i miei amici, con cui mi ero ubriacato, che mi ero sfilato all’ingresso e avevo buttato sul cesto, quella stessa giacca in cui avevo riposto la patente insomma, era proprio lì, buttata in quel mucchio. Persa di vista, irreparabilmente. Vi risparmio la storia, e le altre cento che aprirei nel mezzo, di com’è tornata sotto i miei occhi, ma sappiate che
adesso ho ben due patenti e che il cesto, ereditato dalla zia malata, traslocato da una casa all’altra, approdato qui per ragioni ormai dimenticate, rimasto fedelmente accanto alla scale per 3 anni, 4 mesi e 12 giorni, è bruciato… in giardino… insieme ad un paio di vecchie scarpe e una bomboletta spray.
Capite? In questa casa non posso permettermi il lusso di distrarmi mentre mi concentro nell’essere me. Per questo, ripeto, erano le 22.17 e la luna era proprio lì, dov’è sempre stata a quell’ora. L’ho vista attraverso la finestra, al di sopra del salice. Era bianca, tonda e luminosissima. Niente, ma dico niente, avrebbe mai potuto far presagire quello che sarebbe accaduto il giorno dopo.
2.
E’ successo tutto nella notte tra martedì e mercoledì. Certo è anche questo, perché il martedì ceno sempre con un hamburger ordinato a domicilio, da quel pub irlandese in fondo alla strada.
I primi mesi dopo il trasloco in questo quartiere, ho mangiato lì quasi tutte le sere. Va da sé che ad un certo punto mi sono stancato di birra e patatine fritte e per circa un anno mi sono rifiutato di ingerire tuberi, panini di qualsivoglia forma o dimensione, e carne di manzo. Tempo fa, però, passeggiando senza meta tra le strade del quartiere, mi sono ritrovato davanti alla vetrina del pub ed ho letto della promozione “martedì menù a metà prezzo”, con la dicitura in piccolo “valida anche per ordini a domicilio”, e mi sono detto che era ora di ristabilire tutti i tasselli della mia preziosa piramide alimentare. Saranno 4 mesi che ordino lo stesso menù tutti i martedì sera e non ho modificato questa routine nemmeno con l’inizio del nuovo lavoro.
A proposito di mio padre… Lui faceva lo stesso mestiere, come mio nonno, il padre di mio nonno, il nonno di mio nonno e così via fino al primo uomo della mia dinastia. Mia madre lo conobbe a vent’anni e si sposarono presto.
Io sono nato circa 2 anni dopo il loro primo incontro e quello per mia madre è stato un periodo molto felice, anche se un anno dopo la mia nascita, mio padre è scomparso senza lasciare traccia. Così, da un momento all’altro. Fortunatamente io ero troppo piccolo per rendermi conto di qualcosa e durante la crescita mi sono abituato abbastanza facilmente alla sua assenza.
Mia madre si è poi risposata 10 anni dopo, partorendo mia sorella che io avevo 11 anni e credo di non aver mai visto mia madre più contenta del giorno in cui il medico ci ha detto che aspettava una femmina.
Non molto diversamente da me, mia sorella ha trascorso poco tempo con suo padre, che è morto a causa di un infarto quando lei aveva da poco imparato a mangiare da sola con il cucchiaio. Questo fatto ha gettato un ombra sulla sua vita, che influenzato tantissimo la sua percezione del mondo, del tempo e delle persone. Io, che mi ero sentito sempre responsabile per lei, dopo la morte di suo padre ho cercato di fortificare ancora di più il nostro legame, per farla sentire protetta e seguita in ogni suo passo. E devo ammettere che è stato un piacere vederla crescere e raggiungere i suoi traguardi, uno dopo l’altro, per trasformarsi nella piccola e forte donna che è adesso.
Comunque… sì, mio padre è scomparso senza lasciare traccia e mia mamma mi ha detto che era partito per un lavoro di vitale importanza e non poteva assolutamente essere distratto dalla vita di famiglia. Da bambino questo discorso aveva una sua plausibilità, poi è diventata una di quelle favolette che i bambini cresciuti non vogliono smascherare di fronte ai genitori, e così è stato fino al mese scorso.
3.
È Venerdì, 7 Ottobre. Ore 5.00 di mattina. Buio. Calma. Incoscienza.
Un respiro… 2 respiri… 3 respiri… senza rendermene conto… 4 respiri… 5 respiri…
Riiiiing!
In meno di due secondi mi sveglio saltando indietro, sbatto la testa sulla testata del letto, muovo a caso le braccia verso il telefono che cade.
Nemico neutralizzato. Penso.
Penso… Pensare. Realizzare di essere sveglio. Dannazione! Mia madre? Mia sorella? Qualche amico in difficoltà? Preoccupazioni. Dannazione!
Agitato e stordito, raccolgo la cornetta del telefono. Mi accorgo subito che qualcuno sta scandendo il mio nome. Mi sembra una voce familiare, non proprio conosciuta, ma familiare.
È mio padre.
- Papà?! Sei proprio tu?
- Sì, non farmi domande te ne prego. Ascolta e basta. Lo puoi fare?
Bèh, se dovessi farti delle domande, veramente non saprei da dove iniziare. Penso.
- Direi di sì, ti ascolto.
- Oggi è Venerdì, 7 Ottobre. Non dimenticarlo mai, la memoria del tempo è fondamentale, non puoi farne a meno. E da lunedì tu prenderai il mio posto.
- Il tuo posto dove? Per cosa?
- Niente domande. Ricordi? Se dai la tua parola non rimangiartela mai.
Questa conversazione non può essere vera, sto sognando sicuramente. Penso.
- Sì, va avanti.
- Da lunedì tu prenderai il mio posto a lavoro. Sei ancora un po’ giovane per questo passo, ma io purtroppo ho contratto una grave malattia e non posso più continuare. È un lavoro di grande responsabilità, che gli uomini della nostra famiglia si tramandano da generazioni e che svolgono con orgoglio.
Bell’orgoglio nel lasciare una donna con un bambino piccolo a carico sparendo nel nulla per anni! Esclamo dentro di me.
- Lo so cosa stai pensando. Ti prego di scusarmi per la vita che non ho potuto dare a te e tua madre, che ho amato tantissimo ed amo ancora oggi. Non è stata una scelta facile allontanarmi da voi, credi a questo. Quando inizierai a lavorare, te ne accorgerai anche tu di quanto sia complicato gestire la propria vita privata.
Ti chiederei di spiegarmene il motivo e di darmi qualche consiglio, ma niente domande. Mi dico.
- Non hai bisogno che ti spieghi nulla di più, capirai tutto autonomamente, funziona così! Da secoli oramai. Lunedì mattina ti sveglierai e saprai cosa fare, non te ne preoccupare.
No, assolutamente. Perché mai dovrebbe preoccuparmi la notizia, giunta da mio padre scomparso da anni, di dover iniziare un lavoro di cui non so nulla, se non che costringe gli uomini ad allontanarsi dalle proprie famiglie? Mi domando.
- Io non posso dire o fare niente che cambi il passato, tantomeno il futuro, vedrai… Posso solo dirti che non devi più sforzarti di trovare la tua strada, perché si è appena stesa ai tuoi piedi, e dicendoti questo spero di aver almeno alleggerito questo momento.
Tu, tu, tu…
4.
Incredibile. Vero?! Fuori da ogni possibile previsione o immaginazione. Non vi biasimerei se non voleste credermi, in tutta onestà faccio fatica a credermi anche io stesso. Però, tralasciando tempistiche e modalità, quelle poche incomprensibili parole hanno avuto l’effetto di un punto al termine di una frase molto articolata.
Considerando il poco tempo libero che, a detta di mio padre, mi rimaneva a disposizione, ho deciso di partire per un breve viaggio e di trascorrere il fine settimana su un’isoletta poco conosciuta. Avevo bisogno del mare, di guardarlo andare e tornare sempre e mai uguale a se stesso. Di sentirne l’odore nell’aria e il sapore sulle labbra. Avevo bisogno del blu, dell’azzurro, del celeste e del sole, caldo, infinito, rinvigorente. Volevo vivere il tramonto dal filo dell’acqua e fare l’amore con una donna sconosciuta all’alba.
Starete pensando che sia stato bellissimo, perché i momenti così sono veramente rari, ma devo confessare di essermi parecchio ricreduto sul loro reale valore, anzi, posso dire senza dubbio che sono di gran lunga meno preziosi di quello che immaginiamo. L’ho capito quando sono tornato a casa, due giorni immerso in un paradiso terrestre, trascorsi nel modo esatto in cui li avevo sognati e programmati, in perfetta solitudine. Eppure, varcando la porta d’ingresso della mia villetta con giardino, sono stato assalito da un profondo senso di delusione.
Ho pensato di aver perso l’unica occasione rimastami per guardare un’altra persona negli occhi e dire ti amo. Poi mi sono detto che non avrebbe avuto molto senso, dato che probabilmente non sarebbe stato vero, ma a quel punto è stato anche peggio, perché mi sono scoperto profondamente infelice.
In casa mia bisogna sapere dove si trovano le cose, per poterle trovare, ve l’ho già detto credo… Per questo, forse, la felicità mi è sempre sfuggita.
Ma ora basta con le solite divagazioni! Partito sabato all’alba, tornato domenica notte, lunedì mattina ero pronto ad iniziare il mio nuovo lavoro, qualunque esso fosse.