LA LINGUACCIA. Quando “caro” non è amico, ma è benzina: dal latino, il costo e il valore di un litro di carburante
La nostra società attraverso l'etimologia, a cura di Teresa Giannini
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di Teresa Giannini
Nel 1884, il filologo Karl Abel pubblicò un opuscolo intitolato: “Significato opposto delle parole primordiali”. Questo scritto evidenziava come, nelle lingue più antiche, fosse piuttosto comune imbattersi in parole che avevano due significati opposti tra loro: come scrisse Sigmund Freud in una recensione dell’opera di Abel, l’altus e il sacer latini stavano rispettivamente sia per alto che per profondo, sia per sacro che per sacrilego.
Nelle lingue attuali ancora esistono casi del genere, anche se nel tempo si è affermata la tendenza (figlia di una società sempre più polarizzante) a distinguere in termini diversi i concetti tra loro antitetici. Incontrare uno di questi “scherzi linguistici”, è un po’ come trovarsi difronte ad un Magritte: l’impressione è quella di una fugace e piacevole confusione, un non capire bene ciò che si sta guardando, accorgersi immediatamente di un controsenso o di una stranezza che poi innesca un meccanismo di riflessione più lento e profondo.
Ora accendiamo la televisione, o diamo uno sguardo alla rassegna stampa del nostro account Google, soffermandoci un secondo sulle notizie di economia: “Caro carburante, web contro accise ma Meloni sgonfia le polemiche” (Adnkronos), “Caro benzina e diesel, in vigore da oggi il decreto carburanti: ecco le misure” (Sky tg24), “La corsa di benzina e diesel: ecco perché in Italia il pieno è più caro che nel resto di Europa” (La Stampa)… Solo io ho in testa Lucio Dalla, mentre scorro tra gli articoli che suggeriscono l’ennesima crisi del delicato sistema economico del nostro Paese? ‹‹Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’›› fa la canzone, raccontando secondo me benissimo lo stato d’animo di quanti adesso sono alle prese con il progressivo aumento del costo della vita.
In latino si diceva carus: una parola dalla spiccata ambiguità che condensava sentimenti puri (nel senso di amato) e venalità (se intesa come costoso), e che condivideva la radice linguistica di carestia, legata a scenari ad essa idealmente opposti. Caro è ciò a cui siamo affezionati e da cui traiamo amore, ma anche ciò che può toglierci denaro o salute. Un vocabolo quindi intrinsecamente legato alla sfera del valore, declinato in significati e accezioni anche molto distanti tra loro.
Nei titoli della stampa nazionale citati prima, è usato nella moderna forma composta caro-, che si riferisce specificatamente a fenomeni di mercato con ricadute sui prezzi e sulle tasse di determinati generi o consumi. Qui l’interpretazione corretta è chiaramente maggiorazione del costo, ma in generale è interessante giocare con i significati: spinge a ragionare creativamente e porta a comprendere più sfumature dei problemi, come accade guardando un Magritte.
La benzina, ad esempio, non è forse cara all’industria automobilistica e alle migliaia di lavoratori delle stazioni di servizio? Oggigiorno lo è certamente per chi guida un qualsiasi veicolo a motore tradizionale, come d’altronde lo sarebbe per chi volesse convertirsi ai mezzi elettrici. L’uso che ne facciamo costa caro all’ambiente, questo ormai lo abbiamo capito, ma d’altra parte non siamo nelle condizioni di spostarci ovunque vogliamo facendone a meno. Adesso come adesso, è la benzina (nella maggior parte dei casi) a portarci a lavoro, dai nostri cari o nei luoghi cari dell’infanzia. Sintetizzando al massimo, è la benzina che ci riempie la pancia. Costa più di ieri, questo è un dato semplice da cogliere leggendo con il filtro “euro a litro” (media nazionale intorno all’1,80), ma è meno immediato se proviamo a leggere il valore che lo stesso litro acquista nella quotidianità di ognuno in termini di benessere e libertà (nessuna media nazionale disponibile).