Istanbul, crocevia fra Oriente e Occidente di impareggiabile bellezza.
“Se il mondo fosse un solo stato, la capitale sarebbe Istanbul”
Fu Napoleone Bonaparte a rilasciare questa dichiarazione. Da allora, a distanza di centinaia di anni, molte cose sono cambiate, ma queste parole continuano a risuonare attuali. Grazie alla sua incredibile posizione geografica, la metropoli turca rappresenta un punto di incontro fra Oriente e Occidente che non ha eguali. Vivere a Istanbul è un po’ come vivere a Londra e a Baghdad allo stesso tempo, con il meglio e il peggio che la cultura occidentale e quella orientale hanno da offrire. Istanbul è una città dove il lusso e la decadenza, la modernità e la tradizione, si incontrano e convivono dando vita ad un meraviglioso e brulicante melting pot di razze, culture e religioni.
Insieme alla mia famiglia eravamo alla ricerca di una meta estiva esotica, lontana dai soliti canoni turistici europei, ma che non fosse nemmeno troppo remota. Istanbul ci è sembrata sin da subito un perfetto compromesso. Nessuno di noi c’era mai stato, ad eccezione di mio padre che mi aveva parlato diverse volte della frenesia e dell’incantevole bellezza della città. Così, verso la fine di giugno, abbiamo deciso di prenotare il viaggio in fretta e furia, mentre i costi dei biglietti aerei iniziavano già a raggiungere cifre esorbitanti. Saremmo partiti verso la fine di agosto e io non ero già più nella pelle.
1° giorno - Arrivo ad Istanbul
Arriviamo all’aeroporto internazionale di Sabiha Gökçen intorno alle 18,30. Superata l’interminabile fila per il controllo passaporti, riusciamo finalmente ad uscire. Fuori dall’aeroporto regna il caos più assoluto. Ci mettiamo circa mezz’ora prima di riuscire ad orientarci in mezzo a quella moltitudine di persone e a trovare un taxi. Il tassista mette energicamente le nostre valigie nel bagagliaio e, sorridente, ci conduce verso l’albergo. L’uomo, che continuava a rivolgerci domande e a girarsi verso di noi incurante della strada, comincia a zigzagare nel traffico a una velocità folle con la disinvoltura e la spensieratezza di chi stesse guidando una macchina a scontro al luna park. Ho stretto per tutto il tragitto la gamba di mia mamma nella certezza che non saremmo mai giunti vivi a destinazione. Arrivati ad Istanbul l’autista inizia a districarsi in mezzo al più grande fiume di persone e di macchine che io abbia mai visto. La città, illuminatissima, brulica di ristoranti e di negozi di ogni sorta. Il rumore dei clacson è assordante e il continuo viavai di persone e automobili magnetico. Dopo un’ora e mezza di viaggio raggiungiamo miracolosamente il nostro albergo. Ringraziamo il nostro simpatico e spericolato tassista per non averci ucciso durante il tragitto e facciamo il nostro ingresso in hotel. Solo un paio di giorni più tardi ci saremmo abituati a quel traffico e quel modo di guidare non ci sarebbe sembrato più così folle. La nostra camera è bellissima, abbiamo una vista mozzafiato sul mare e sul porto di Istanbul, affollato da decine di immense navi mercantili.
2° giorno - Le moschee di Santa Sofia e di Sultanahmet, anche nota come “Moschea Blu”
Intorno alle 5 vengo svegliata dalla voce del Muezzin che intona l’adhān, la chiamata islamica alla preghiera proveniente dalla moschea proprio di fronte al nostro hotel. La voce del Muezzin, che per cinque volte (di notte di giorno) richiama i fedeli ai propri doveri, ci accompagnerà per tutto il nostro viaggio a Istanbul. Il fascino esercitato dall’adāhn su un turista, specie se occidentale, è qualcosa che difficilmente si può spiegare. E’ un canto ancestrale che tocca corde profonde e riecheggia nella sfera di una spiritualità dimenticata, che ormai non fa più parte della nostra quotidianità. Decidiamo di visitare subito le due moschee più importanti di Istanbul, iniziando da quella di Santa Sofia. La fila è lunghissima e caotica, ma piuttosto scorrevole. Dimentico di portare il velo, ma nell’atrio antistante la moschea riesco ad acquistarne uno “usa e getta” grazie ai diversi distributori automatici che circondano l’edificio. La moschea è un gioiello architettonico di incommensurabile bellezza. Gli immensi candelabri circolari che scendono dai soffitti, gli affreschi e i mosaici sono tutte preziose testimonianze delle diverse epoche che la moschea ha attraversato. Ci sediamo a terra, in silenzio, con la testa in su, increduli di fronte a tanto splendore. Dopo qualche minuto, veniamo richiamati ai nostri doveri genitoriali da mio figlio Thomas che, ormai stufo, inizia a girovacchiare in mezzo alla moltitudine immensa di persone che affollano la Moschea. Siamo costretti così ad uscire, travolti dalla folla che ci circonda da ogni lato. Pranziamo in un delizioso ristorante di specialità palestinesi vicino alla piazza di Sultanahmet dove assaggio i migliori felafel della mia vita. Il ristorante è gestito da una calorosa famiglia palestinese che ci accoglie come se fossimo dei lontani parenti in visita. L’atmosfera è così gioviale da farci perdere la cognizione del tempo e il pranzo alla fine dura quanto uno di quegli interminabili pranzi in famiglia della domenica. Usciamo da lì due ore e mezza dopo, pienissimi, ma felici. Sono all’incirca le quattro e possiamo finalmente visitare la tanto attesa “Moschea Blu”, aperta solo in orario pomeridiano ai turisti. Purtroppo nella Moschea sono in corso dei lavori di restauro e gran parte delle migliaia di piastrelle in ceramica blu cobalto che ne rivestono le pareti interne sono coperte da ingombranti impalcature che ce ne oscurano la visione. Poco male, almeno avremo una scusa in più per ritornare.
Interno della Moschea di Santa Sofia
3° giorno - La Basilica Cisterna, la Torre di Galata e Beyoglu
La Basilica Cisterna, anche nota come Yerebatan Saray
La Basilica Cisterna è una spettacolare struttura sotterranea costruita dall’imperatore Giustiniano nel 532 d.C. per l’approvvigionamento idrico della città. Appena varcata la soglia di ingresso abbiamo la sensazione di entrare in un acquatico mondo sotterraneo. Non a caso il nome della cisterna in lingua turca, Yerebatan Sarayı, significa proprio “Palazzo Sommerso”. Camminiamo lungo la passerella di legno sospesa sull’acqua come se ci trovassimo tra i resti di un’antica e misteriosa civiltà scomparsa. Il gioco di luci, sapientemente orchestrato, contribuisce alla creazione di un’atmosfera surreale e suggestiva. I turisti camminano fra le colonne della cisterna quasi in uno stato di trance tanto che alla fine uno di loro, un anziano turista francese, non accorgendosi di un’apertura nella recinzione, cade in acqua. Per fortuna l’acqua non è profonda e il turista, in evidente imbarazzo, viene soccorso dai suoi compagni di viaggio. La bellezza del luogo non è sfuggita ad artisti e registi che lo hanno scelto come location per numerosi film.
La Torre di Galata e Beyoglu, il quartiere alla moda di Istanbul
Seguendo il consiglio di Murat, uno dei receptionist dell’albergo, nel tardo pomeriggio ci avviamo verso il quartiere di Beyoglu, rinomato per lo shopping e per il divertimento serale. Beyoglu sorge a nord del Corno d’Oro, l’estuario naturale che divide la città di Istanbul in due: l’antica Bisanzio a sud e la colonia genovese di Pera-Galata a nord. Fra le principali attrazioni del quartiere c’è la famosa Piazza Taksim e la medievale Torre di Galata, costruita dai coloni genovesi nel 1348. La Torre si trova in cima ad una delle innumerevoli, ripidissime, salite della metropoli. Arrivati in cima decidiamo di fare un ultimo sforzo e ci mettiamo in fila per salire sulla torre, dalla quale si gode di una vista incantevole su tutta la città. La folla è immensa, anche per gli standard di Istanbul. La gente è letteralmente ovunque tanto che facciamo persino fatica a muoverci. Decidiamo di ritornare verso la fermata del tram dalla quale eravamo arrivati, dove avevamo notato diversi ristorantini sotto il ponte di Galata. Non appena entriamo nella zona ristoranti veniamo accolti dalla solita insistenza dei camerieri che cercano di trascinarci all’interno dei locali. Questa volta ci facciamo convincere in fretta, l’ora è tarda e la fatica della salita fino alla Torre di Galata ci ha aperto l’appetito. Per quanto la zona sia palesemente turistica, il pesce è freschissimo e il kebab ottimo, ma d’altra parte è davvero difficile mangiare male ad Istanbul. Durante la cena un cantante turco intona canzoni dal sapore arabeggiante. Con il passare del tempo il volume della musica inizia ad aumentare sino a sovrastare completamente le nostre voci. Il ristorante si trasforma in una sorta di locale con musica dal vivo. Alcune donne turche sedute ai tavoli iniziano a cantare e, dopo aver vinto un’iniziale timidezza, si alzano ed iniziano a ballare. L’atmosfera è elettrizzante e presto anche noi ci facciamo contagiare dall’entusiasmo della sala.
4° giorno - Il Gran Bazaar
Decidiamo di dedicare l’intera mattinata al Gran Bazaar, praticamente una tappa obbligatoria per chiunque visiti per la prima volta la città. Il bazaar è uno dei più grandi e antichi mercati coperti al mondo con 61 strade e oltre 4000 negozi al suo interno. In molti lo definiscono, a pieno titolo, uno dei primi centri commerciali della storia. Appena varcata la soglia del mercato veniamo assaliti dalle richieste insistenti dei negozianti che cercano di attirarci nelle loro botteghe. Iniziamo a guardarci intorno e individuiamo qualche articolo che ci interessa. Sfoderiamo così tutte le nostre tattiche da abili contrattatori: quando un articolo ci piace fingiamo indifferenza e quando non otteniamo il prezzo che vogliamo fingiamo di andarcene via nella speranza di essere rincorsi e di ricevere un’offerta migliore. Non otteniamo grandi risultati. I prezzi sono piuttosto alti ovunque e i venditori sono abbastanza irremovibili. Dopo circa due ore ininterrotte di valutazioni, tattiche e contrattazioni decidiamo finalmente di uscire. Ci sentiamo storditi, abbiamo acquistato qualcosa, ma non alle condizioni che volevamo. Iniziamo così a vagare per le vie circostanti alla ricerca di qualcosa da mangiare. Dopo un pranzo veloce e buonissimo ci accorgiamo che le vie intorno al Gran Bazaar sono piene di negozi che vendono pressoché la stessa merce esposta all’interno del mercato. I prezzi sono però più abbordabili e i commercianti più accomodanti. Compriamo qualche borsa e diverse scarpe, riuscendo a contrattarne il prezzo e appagando così il nostro desiderio tipicamente occidentale di essere riusciti ad avere la meglio in una contrattazione in terra straniera.
5° giorno - Fener e Balat, ovvero il volto più conservatore e autentico di Istanbul
Il penultimo giorno decidiamo di partire alla volta di Balat, attratti dalle accattivanti immagini delle sue famose casine colorate che avevamo visto sui social. Di casine colorate ce ne sono poche, tre o quattro al massimo, e le tonalità non sono così brillanti come quelle che venivano mostrate su Instagram, ma tutto questo non ha molta importanza. Il fascino sprigionato dall’intera zona, l’antico quartiere ebraico della città, è indescrivibile. Di turisti se ne vedono pochissimi. Per la prima volta, dopo giorni, non dobbiamo sgomitare per passare. Ci perdiamo per le strade di Balat, fra decine di gatti addormentati e di uomini anziani intenti a bere tè e a giocare a carte. Il quartiere è disseminato di negozi di articoli usati e, considerata la mia passione per l’antiquariato, non posso fare a meno di fermarmi ovunque. Troviamo di tutto: da un’antica gigantografia di Lenin ad un’immensa e impolveratissima collezione di vinili di ogni epoca e genere musicale. Continuiamo a camminare, rapiti dalla bellezza del luogo, e arriviamo così nell’adiacente quartiere armeno di Fener. Qui la folla di turisti inizia a crescere leggermente. Le case sono più curate e i numerosi negozi di souvenir della zona vendono oggetti più ricercati e di buon gusto rispetto ai migliaia di gadget tutti identici fra loro che abbiamo visto sino ad ora. Decidiamo di fermarci per prendere il nostro consueto aperitivo e di approfittare dell’assenza di Thomas, che avevamo lasciato con i miei, per goderci il nostro agognato drink. Chiediamo indicazioni ad un paio di persone che, in un inglese stentato, cercano di dirci che nel quartiere non si vende alcol. Increduli chiediamo ad una terza persona che, in un inglese più chiaro e con tono deciso, ci dice chiaramente che nell’intero distretto l’alcol è bandito. Non riusciamo a nascondere la nostra delusione, anche se in realtà ci rendiamo subito conto di trovarci in possesso di un’ulteriore prova dell’autenticità del posto che non cerca di lusingare i turisti, ma che rimane saldamente attaccato alle proprie tradizioni.
Negozio di souvenir nel quartiere armeno di Fener
6° giorno- Crociera sullo stretto del Bosforo, dove l’Oriente e l’Occidente si toccano
L’ultimo giorno decidiamo di prenotare tramite il nostro hotel una piccola crociera sul Bosforo, lo stretto che segna il confine tra il continente asiatico e quello europeo. Dopo aver raggiunto con un transfer il porto di Eminönü saliamo sull’imbarcazione che ci porterà alla scoperta dello meraviglie dello stretto e della parte orientale di Istanbul. Dopo circa un’ora di navigazione facciamo tappa nel quartiere di Üsküdar, sulla riva asiatica della città. La nave, come annunciatoci dalla guida, si fermerà per un’ora per consentirci di visitarne i dintorni. Gli organizzatori ci portano nel negozio di articoli in pelle di un commerciante locale con il quale hanno evidentemente un accordo. Una mossa piuttosto mal riuscita considerando i 30 gradi esterni e il fatto che il negozio vende praticamente solo giubbotti in pelle. Loro comunque ce la mettono tutta: ci raccontano la storia della lavorazione della pelle e si cimentano persino in una rischiosa prova che consiste nel bruciare i giubbotti con un accendino, al fine di dimostrare la resistenza del materiale. Il caldo inizia a diventare insopportabile e la sola vista di tutta quella pelle esposta ci fa sudare. Molti iniziano a uscire dal negozio balbettando qualche scusa e man mano la folla inizia diradarsi e a disperdersi per le stradine del quartiere. Dopo aver recuperato l’accendino che ci era stato per giunta chiesto in prestito per la prova del fuoco, ci dileguiamo anche noi. Fra le principali attrazioni del quartiere di Üsküdar c’è il palazzo di Beylerbey, la residenza estiva dei sultani, uno dei pochissimi palazzi imperiali sulla costa anatolica che purtroppo, visto il poco tempo a disposizione, riusciamo a vedere solo dall’esterno. La vicinanza del mare, l’incessante sbattere delle onde, l’autentica semplicità del luogo iniziano ad esercitare quasi un effetto ipnotico. Veniamo talmente conquistati dal fascino della zona da perdere quasi la nave. Un’ora non è sufficiente. La parte orientale della città nasconde un carattere più intimo e ritroso che approfondiremo certamente nel corso di un futuro viaggio ad Istanbul.
A partire da sinistra: io, Thomas e il mio compagno sulla nave
7° giorno - Partenza
Il nostro volo è alle undici e mezza di mattina e, considerando il traffico e la notevole distanza dell’aeroporto, dobbiamo partire molto presto. Osservo per un’ultima volta il porto dalla finestra della mia camera, immaginando quali rotte avrebbero intrapreso le navi mercantili che come ogni mattina si stagliavano all’orizzonte. Non vorrei andarmene, ma sono sicura che il mio non sarà un addio. Lascio Istanbul, con un piccolo nodo alla gola, ma nella certezza e nella speranza di ritornare.
La vista dalla nostra camera d’albergo
Istanbul ci ha sedotto e ammaliato. Ci ha fatto sentire parte di quell’immenso bacino culturale in cui convivono tutti i giorni un’incredibile varietà di razze ed etnie provenienti da ogni regione dell’emisfero. Ci ha fatto sentire tutti uniti nella consapevolezza di trovarci al centro del cuore pulsante di una città che da sempre rappresenta uno snodo millenario fra Oriente e Occidente. E forse, nonostante i numerosi viaggi, mi ha fatto sentire per la prima volta una cittadina del mondo e per questo gliene sarò eternamente grata.
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