FOTOSINTESI DEL MONDO. L'etica del graphic content
Può il giornalismo essere davvero informativo senza l'uso di immagini disturbanti, se esse rappresentano la realtà dei fatti?
The Falling Man, Richard Drew, 11 settembre 2001.
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La potenza dell’ immagine è un attributo che le è universalmente riconosciuto. L’immagine fornisce un sapere complementare in alcuni ambiti della conoscenza, e portante in molti altri, grazie a un linguaggio che ha vita propria, un simbolismo e una capacità di raccontare che le hanno consegnato una branca ben definita anche nel mondo dell’informazione.
Proprio in virtù della sua funzione primaria nel giornalismo, la produzione di foto e video e la loro diffusione all’interno dell’ecosistema dei media pone una serie di questioni etiche. La domanda principe è: quanto è giusto mostrare al pubblico immagini o video in diversa misura disturbanti?
Da lì, gli interrogativi si moltiplicano perché chi può definire una linea di confine tra cosa può urtare la sensibilità e cosa invece può essere condiviso come notizia senza ricevere critiche o accuse di fomentare pornografia del dolore?
E ancora: ma se un media non diffonde una foto o un video perché ritenuto “disturbante” (In base a cosa? Chi lo ha ritenuto tale?) non tratta il pubblico alla stregua di un bambino, togliendogli una possibilità di farsi un’idea critica relativa a ciò che il contenuto visivo delicato racconta?
Potremmo continuare a porci una quantità enorme di domande, ma chi lavora ogni giorno con i media deve passare alla pratica, a volte in tempi molto brevi. La prima soluzione pratica che risponde alle esigenze di pubblicazione è quella di diffondere materiali che potrebbero urtare la sensibilità del pubblico inserendo un avviso preventivo, che recita più o meno così: “ATTENZIONE: GRAPHIC CONTENT”. Diventa quindi una scelta del singolo lettore procedere con la visione del contenuto.
Ma, a volte, usare immagini delicate è necessario per raccontare la realtà perché non solo gli addetti ai lavori conoscono la simbologia visuale, ma anche chi la utilizza per esprimere messaggi politici che è dovere giornalistico raccontare: è il caso delle foto del 2017 dei prigionieri occidentali dell’ISIS, uccisi e appesi nello stesso modo e con lo stesso tipo di vesti e cappucci con cui, nel 2004, erano stati uccisi e appesi i prigionieri iracheni da parte dell’esercito USA. Una simbologia che grida tutto l’odio e la voglia di vendetta di ISIS per quello che gli americani avevano fatto loro dopo l’invasione dell’Iraq. Per spiegare tutto questo, le immagini acquisiscono una forza e un significato inesauribili.
E cosa dire, allora, di fotografie disturbanti che sono ormai diventate parte del ricordo collettivo di un evento storico? L’immagine in testa a questo articolo è The Falling Man, una delle foto simbolo dell’11 settembre 2001 evento che ha segnato una linea netta tra il mondo di oggi e quello del XX secolo sotto vari punti di vista. Evento, inoltre, che ha causato l’invasione dell’Iraq da parte degli USA nel 2003 le cui conseguenze sono state anche quelle delle immagini dei prigionieri di cui abbiamo appena parlato.
Sono tutte fotografie che non ci fa piacere guardare, ma che, se ci poniamo nell’ottica di farlo e le accostiamo in ordine temporale, raccontano una storia che certamente le parole articolano e interpretano nelle cause-effetto politiche, diplomatiche, sociali ed economiche, ma che da sole sono elementi indispensabili alla comprensione di questa parte di storia perché arrivano direttamente nella mente di chi guarda. Allora, nonostante le tante critiche, forse è stato un bene che quelle immagini siano state diffuse.
Molti giornalisti hanno raggiunto un accordo su una linea guida che aiuta a decidere sulla diffusione di graphic content basandosi su due elementi: il confronto di sensibilità e opinioni il più diverse possibile all’interno di una redazione, e l’obiettivo del giornalismo, che è quello di informare. Chi vedrà il contenuto delicato otterrà un’informazione che senza di esso sarebbe incompleta o si tratta di un’aggiunta puramente spettacolare a un’informazione fornita già in modo completo?
Non ci sono risposte nette, dunque, agli interrogativi che ci siamo posti in partenza, ma se volete trovare la vostra personale e soggettiva risposta provate a rileggere il mondo degli ultimi vent’anni — quelli dell’avvento dell’era digitale — togliendo dalle informazioni in vostro possesso le foto e i video controversi o spiacevoli che accompagnano la cronaca. Difficile, vero?
Rubrica a cura di Francesca Staropoli