Da WeTransfer al Colosseo: quando l'arte incontra il business
Le potenzialità della creatività abbinata al marketing vengono comprese nel XX secolo dai futuristi e nel dopoguerra le imprese cominciano a mano a mano a investire sempre di più nell’immagine aziendale. Negli anni, la concorrenza cresce e la creatività spazia, arrivando a coinvolgere le città e i loro monumenti, si prenda il caso del restauro del Colosseo firmato Tod’s. Ma non tutti possono permettersi questo lusso e i business più piccoli devono trovare metodi promozionali alternativi. Nasce così quello che oggi è conosciuto come Guerrilla Marketing, una strategia pubblicitaria fuori dagli schemi che, dalla strada, punta a conquistare la psicologia del consumatore, incuriosendolo e stuzzicandolo. Oggi l’arte ha acquistato un ruolo centrale nella strategia d’impresa. La concorrenza sul mercato è cambiata e al bisogno di creatività si aggiunge quello della flessibilità. Le aziende, quindi, con l’arte, si impegnano a generare un’esperienza totalizzante per il consumatore che aumenti la competitività del brand. Non ci si limita più al raggiungimento di obiettivi numerici, ma si punta a fidelizzare l’acquirente. E così, un’azienda come WeTransfer, ad esempio, trasforma i tempi morti in una vera e propria esperienza culturale. L’arte non è più esclusivamente un bene di lusso per pochi, come nel passato. Al contrario, è una delle massime forme di comunicazione, capace di scaturire sentimenti, catturare l’attenzione e lasciare un segno. Chi dice, quindi, che il marketing è solamente una questione di numeri e strategia?
Chiara Conca
Arte: l’ingrediente (tutt’altro che) segreto del successo di WeTransfer
di Teresa Giannini
Si può parlare di mecenatismo nel 2022? Esiste un ritorno economico per l’impresa che investe in arte e creatività? E cosa ci fa Marina Abramović sullo schermo di un computer che invia un file dall’altra parte del mondo?
Questo che potrebbe sembrare un bizzarro o zoppicante elenco di domande, nasconde invece una profonda riflessione su quelle particolari strutture e dinamiche d’impresa in grado di spiegare il successo planetario di società come WeTransfer, che proprio in questo momento festeggia (e lo farà per tutto il mese di marzo) il traguardo del timbro B Corp – certificazione lanciata dall’ente no profit B Lab, con lo scopo di misurare la performance ambientale e sociale delle aziende, premiando quelle con gli standard più elevati – e che martedì 15 terrà una conferenza pubblica online per SXSW (acronimo di South by Southwest): la s.r.l. statunitense, nata nel 1987, conosciuta soprattutto come organizzatrice di festival sulla convergenza di tecnologia, film, musica, istruzione e cultura.
Ma come ha fatto una piattaforma di file sharing a raggiungere determinati obiettivi?
Non tutti lo sapranno, ma il colosso digitale ha iniziato a segnare profitti con ben 4 anni di differita rispetto all’anno di fondazione (2009). In poco tempo è poi riuscito a scalare la vetta, contando oggi 87 milioni di users mensili e 300 impiegati. Se appena due anni fa, in un’intervista a Vanity Fair, il CEO della compagnia made in Netherlands Gordon Willoughby (ex di Amazon, eBay e del Financial Times) dichiarava 50 milioni di utenti, un confronto con quelli attuali dimostra il ritmo di crescita dell’azienda.
È vero che la pandemia da Sars-Covid-2 ha reso più impellente il bisogno di inviare file di grandi dimensioni e ha presumibilmente giocato un ruolo fondamentale in un tale rapido sviluppo, ma la popolarità di WeTransfer affonda le radici nel profondo legame con il mondo dell’arte che, muovendosi dai background culturali dei fondatori e poi modellato da una leadership super stellata, è stato valorizzato fino a diventarne la cifra comunicativa e organizzativa: non più mero scambio di gigabyte, ma vetrina per artisti e galleria interattiva, soprattutto negli ultimi progetti cofirmati con Marina Abramović. Nel corso del 2021, la più famosa rappresentante della Performance art ha infatti collaborato con WeTransfer e WePresent (piattaforma editoriale della società) nella duplice veste di curatrice artistica ad interim (selezionando cinque artisti emergenti da promuovere) e, successivamente, di vera e propria protagonista dello schermo ‹‹creando un'esperienza coinvolgente e personalizzata che è stata condivisa con gli utenti mensili di WeTransfer in 190 paesi››, si legge sul sito ufficiale dell’azienda. Quattro video, in formato interattivo, con cui l’artista di origine serba ha comunicato la propria “prassi creativa”: l’ Abramović Method appunto, in una sorta di dialogo metafisico con lo spettatore, digitalizzato con una motion graphic minimale e suggestiva.
La motivazione di questa forte impronta artistica, unica nel panorama dei competitors, potrebbe essere ricondotta a logiche di moderno mecenatismo, ma sarebbe un atto semplicistico.
La pura filantropia, almeno nelle dinamiche di business del XXI secolo, è probabilmente un’aspettativa naÏf: secondo le più recenti ricerche delle neuroscienze, infatti, una buona strategia d’impresa non può più prescindere da un coinvolgimento emotivo del (potenziale) cliente e l’investimento nell’arte si dimostra una leva potente e necessaria per la competitività dell’azienda. Secondo i criteri del neuromarketing e della neuroestetica, non è quindi sbagliato affermare che qualsiasi iniziativa volta alla promozione artistica sortisca effetti positivi almeno nel ritorno d’immagine (aspetto decisivo nel mercato odierno che pone la fiducia del costumer all’apice della piramide di priorità).
WeTransfer semplicemente piace: rende interessante un momento di attesa obbligatoria (quella necessaria all’invio di un file) per l’utente, lo arricchisce con contenuti creativi e genera valore, trasformando quello che sarebbe tempo sprecato in un’esperienza significativa e guadagnando sempre più appeal e séguito. E piace agli artisti perché crea network e opportunità di business, mette a disposizione tools per lo sviluppo di nuove idee (Paper®, Paste®, Collect, il nuovissimo Portals) e un luogo digitale dove condividere le proprie realizzazioni (WePresent).
Parlando di una realtà economica, però, sono i numeri e le misure a decidere se una scelta sia stata giusta o meno, se un risultato raggiunto sia stato sufficiente oppure no, o a tradurre in nuove strategie lavorative il feedback del pubblico. Per questo l’interrogativo interessante diventa: ‹‹ma Quanto piace?››. Basti pensare che il Net Promoter Score del leader nel trasferimento file è pari ad 80 su 100 e questo punteggio indica la propensione di un cliente a suggerire il brand ad amici o parenti. Più precisamente, alla domanda: ‹‹in una scala da 1 a 10, con quale probabilità consiglieresti questo prodotto ai tuoi conoscenti?›› 80 persone su 100 hanno votato 9 o 10, le restanti 20 hanno espresso una votazione pari a 7 o 8.
La compagnia perciò cresce, si capillarizza, abbraccia cause umanitarie, diventando a) un promotore sociale riconosciuto (e certificato) a livello internazionale, b) uno spazio pubblicitario appetibile.
Il guadagno economico dell’azienda è il prodotto di queste dinamiche circolari. Citando nuovamente Gordon Willoughby ‹‹un team completo lavora per costruire relazioni con i migliori brand del mondo, per cercare inserzionisti che rappresentano la metà del fatturato dell'azienda. L'altra metà proviene dagli abbonamenti come WeTransfer Plus, con cui gli utenti beneficiano di maggiori dimensioni di trasferimento e molto altro ancora››. Il 30% degli sfondi visibili a schermo intero dagli utenti è invece devoluto a performance di artisti, nel rispetto dei ‹‹principi costitutivi del DNA dell'azienda››.
Brand e cultura : 3 esempi in cui l’arte diviene marketing
di Paola Martinelli
William Shakespeare sosteneva che "C'è una storia nella vita di tutti gli uomini" ed esse possono dare vita a nuove storie. Da sempre le nostre città con i loro monumenti secolari, sono l’esempio di come in un solo luogo possano intrecciarsi vite, eventi, storie di donne e uomini che hanno attraversato le stesse strade, visitato gli stessi monumenti in momenti storici diversi. Sono l’esempio che l’uomo è un attore di passaggio nel film infinito che è la storia, ma può rendersi immortale lasciando qualcosa ai posteri, l’arte.
Nell’epoca moderna l’arte e in particolare i monumenti iconici che contraddistinguono i nostri territori sono divenuti anche un mezzo di riconoscimento e distinzione per i grandi marchi, che hanno utilizzato l’arte per trasmettere la loro potenza. L’utilizzo dei monumenti come strumento di marketing è una prerogativa del XXI secolo, e sicuramente quest’ultimo è stato il secolo in cui i marchi hanno maggiormente affermato la propria identità, distaccandosi dagli oggetti che vendono, cercando di dare una vera propria anima al brand.
In questo processo di affermazione della propria identità, i marchi si sono serviti dell’arte, che per antonomasia vive di luce propria.
La Tour Eiffel
La più famosa torre del mondo nata dall’ingegno del suo creatore Gustave Eiffel, nel 1889. E’ il più famoso esempio di architettura al servizio della pubblicità, infatti la torre venne costruita per essere il simbolo dell’Esposizione Universale del 1889, che consacrava la Francia come una delle potenze europee più all’avanguardia ed evolute del ventesimo secolo. Il grande successo che ebbe la torre in metallo nel periodo dell’esposizione ma anche dopo, ha non solo incrementato notevolmente il turismo francese ma l’ha resa soprattutto icona della Francia nonché uno dei monumenti più conosciuti al mondo.
Tod’s per il Colosseo
Il Colosseo, è il monumento più famoso della storia italiana e uno dei 30 luoghi più visitati al mondo, nel 2019 ha avuto una media di 76 milioni di visitatori. Questi dati ci fanno capire quanto possa essere altisonante una pubblicità che lo vede protagonista.
A capirlo sono stati molti marchi che hanno cercato di sfruttare l’immagine del Colosseo a proprio favore, ma sicuramente il caso più celebre è quello di Tod’s, multinazionale nel mondo delle calzature che nel 2011 ha stipulato un accordo con Diego della Valle, acquistando il diritto in esclusiva allo sfruttamento in Italia e all'estero dell'immagine del Colosseo per 15 anni "eventualmente prorogabili".
In cambio di 25 milioni offerti per il restauro dell’Anfiteatro Romano si è concessa la facoltà di inserire il proprio marchio sui biglietti del Colosseo e sulla recinzione del cantiere, la possibilità di pubblicizzare il contributo offerto anche su suoi prodotti e marchi, oltre alla gestione della campagna di informazione sui restauri.
Castel Sant’Angelo per PS4
Un altro caso, sicuramente meno conosciuto ma altrettanto performante di utilizzo di un monumento storico per fini pubblicitari, è il lancio in Italia della Play Station 4. Nel 2015 la “Sony” nota azienda di prodotti tecnologici scelse proprio la famosa fortezza romana come luogo per il lancio dell’ultimo modello di Play Station. L’evento, realizzato grazie ad una equipe di 150 persone, ha permesso di proiettare sulla facciata esterna di Castel Sant'Angelo immagini in grafica 3D digitale ad altissima definizione utilizzando potenti media server e le ultime generazioni di proiettori digitali ad alta luminosità. Il tutto accompagnato da un sistema audio di ultima generazione ha dato vita ad uno spettacolo unico nel suo genere, ricreando la scena di un videogame.
Un evento raro, che ha segnato non solo il connubio tra arte e tecnologia ma che ha dimostrato un ulteriore volta quanto sia potente il messaggio pubblicitario che passa attraverso l’utilizzo dell’arte.
Dai casi analizzati si evince che i brand hanno capito che l’arte è uno strumento efficace da utilizzare per fini commerciali e di marketing, ma soprattutto traspare, nostro malgrado, quanto spesso il futuro dell’arte sia legato indissolubilmente al suo utilizzo per fini commerciali, come nel caso del Colosseo, la cui restaurazione è avvenuta solo grazie al brand Tod’s.
Europa a rischio “stagflazione”? Sì, ma non è colpa solo della guerra in Ucraina.
di Amina Al Kodsi
Da diversi giorni il costo della benzina è volato sopra i 2 euro al litro in tutta Italia. In molti punti vendita il costo del diesel ha superato persino quello della benzina, un evento senza precedenti.
Secondo le previsioni di Goldman Sachs il prezzo al barile del petrolio Brent, il principale benchmark di riferimento per il petrolio che detiene circa il 60% del mercato, potrebbe schizzare nel 2022 da 98 $ a 135 $ al barile.
Un aumento vertiginoso che, stando a quanto affermato dalla società statunitense, potrebbe causare “uno dei più grandi shock energetici mai visti” oltre ad avere naturalmente conseguenze terribili per l’economia.
L’aumento del petrolio, oltre a quello dell’energia, non potrà che scatenare infatti un vero e proprio effetto domino causando un’impennata dei costi di produzione manifatturiera, di approvvigionamento e di distribuzione. L’aumento dei costi e la scarsità di materie prime hanno già costretto moltissime aziende italiane alla chiusura. Stando a quanto riportato da Brescia Today molte aziende siderurgiche nel Bresciano, fra cui Ori Martin, Duferco, Travi e Profilati, stanno lavorando a singhiozzo, sospendendo turni o addirittura intere giornate lavorative.
Attualmente la situazione in cui versa l’industria italiana è a dir poco disastrosa, ma questo non è da considerarsi esclusivamente un effetto della guerra in Ucraina che, d’altra parte, è iniziata da poco più di due settimane. Sono diversi mesi infatti che le aziende italiane del manifatturiero, dalle fonderie alle industrie del vetro, della carta e della ceramica, lavorano in perdita.
Il caro bollette di dicembre, che ha visto crescere il prezzo dell’energia elettrica del 650% rispetto a gennaio 2020 e quello del gas del 671% da novembre 2020 a novembre 2021, ha costretto moltissime aziende a fermare la produzione per diverse settimane onde evitare la bancarotta.
Se la guerra in Ucraina dovesse continuare, l’industria italiana, e con essa anche quella europea colpita dalla crisi energetica, potrebbero ricevere il colpo di grazia che le condannerebbe alla paralisi.
Nel frattempo, mentre l’economia ristagna e moltissime fabbriche sono costrette ad uno stop forzato, la crescente inflazione erode i guadagni e il potere d’acquisto di molte famiglie europee. Il tasso di inflazione nell’ Eurozona è salito infatti del 5,8 % a febbraio e si prevede che continuerà a salire nei prossimi mesi.
In questo scenario la tanto discussa e auspicata ripresa europea post-pandemia non solo è un miraggio lontano, ma, se non dovesse arrivare un “cessate il fuoco”, secondo gli esperti il rischio di “stagflazione”, ovvero di quella pericolosa condizione economica in cui convivono allo stesso tempo recessione e inflazione, sarebbe altissimo. Per ora la Banca centrale europea (Bce) opta per un approccio ottimista e più che di “stagflazione” preferisce parlare di “choc stagflazionistico” nel tentativo di circoscrivere la portata del fenomeno, ritenendolo solo un effetto temporaneo della crisi che stiamo attraversando.
Nel corso dell’ultima conferenza stampa tenutasi il 10 marzo il Consiglio Direttivo della Bce ha annunciato la decisione di porre fine agli acquisti di titoli di stato nel terzo trimestre. Per il resto, come confermato dalle parole di Christine Lagarde, la BCE osserverà l’evolversi della situazione procedendo “passo passo” e promettendo di usare “la massima condizionalità in una massima instabilità".
La Bce intende quindi mantenere un atteggiamento cauto e flessibile, ma i dati che emergono, alla luce delle valutazioni sullo scoppio della guerra in Ucraina, non sono per nulla confortanti.
Le stime di crescita sono infatti al ribasso. Mentre a dicembre gli economisti della Banca centrale europea avevano previsto un'espansione annua del Pil pari al 4,2% nel 2022, le nuove previsioni si attestano intorno al 3,7%. Se consideriamo poi che già prima dello scoppio del conflitto russo-ucraino la ripresa dalla recessione pandemica in Europa, che ha raggiunto i livelli di produzione pre-pandemia solo alla fine dello scorso anno, era già rimasta molto indietro rispetto ad esempio agli Stati Uniti che hanno avuto tempi di ripresa molto più rapidi, il quadro che emerge è estremamente preoccupante.
In queste ore in milioni di europei cresce la sfiducia e aumenta l’incertezza verso un futuro che ormai, da più di due anni a questa parte, continua ad apparire sempre più nebuloso.