Non solo parole
Comunicare è una parola di origine latina che deriva da communis (comune) e si riferisce all’atto di palesare un pensiero, un’idea o un’emozione all’Altro. Tale gesto, anzi, capacità è ciò su cui si fondano tutte le organizzazioni di esseri viventi, compresa la nostra società, e ha un valore così importante che l’uomo, nel corso del tempo, si è prodigato per sviluppare una moltitudine variegata di mezzi e strumenti atti a renderla concreta. La parola è uno di questi mezzi espressivi, forse uno dei primi, sicuramente uno tra quelli più efficienti e, storicamente, maggiormente persuasivi. L’arte grafica arriva poco dopo (se non altro per l’impossibilità di maneggiare una matita o pennello che sia, con cognizione di causa, prima di una certa età), ma ha eguale potenza interpretativa. Questa edizione di Stay. gioca con parole, immagini, parole che rimandano ad immagini e immagini che rimandano a parole e a fatti. La cover è un collage digitale di Beto Valencia – pubblicitario e visual artist, su Instagram con l’account @elbetoval e @inquietofilms – un artista visionario (dal tocco vintage) che fonde natura, architettura, fisionomia, anatomia e design. L’opera qui proposta è una composizione con due entità (uomini, se si vuole, o realtà più astratte) distanti nelle pose e apparentemente nelle intenzioni. Con un salto metaforico, abbiamo pensato ai capi di Stato di Russia e Ucraina che, dall’inizio della guerra tra i loro Paesi, si stanno scontrando non solo sul piano militare, ma anche su quello comunicativo.
Teresa Giannini
La guerra delle parole
il podcast di Marzia Baldari
Rubrica di attualità
Il vero volto del “neorinascimento” saudita: 81 esecuzioni in un solo giorno
di Paola Sireci
Terra esotica che amalgama tradizione e modernità, l’Arabia Saudita vanta di paesaggi e luoghi tra i più belli nel Medioriente e nel mondo, con isole coralline immerse nel Mar Rosso popolate da flora e fauna variegate, siti archeologici che comprendono tombe, rovine e antiche fortezze come Mada’in Saleh (la “Petra saudita”), e deserti che regalano esperienze uniche ai suoi viaggiatori e abitanti, il più importante Rubʿ al-Khālī (il “quarto vuoto”, riferito alla quarta parte dopo il cielo, la terra e il mare) che è il più grande deserto di sabbia al mondo. Da aggiungere alle mete turistiche, quelle tradizionali legate indissolubilmente alla cultura musulmana, essendo l’Arabia sede della Mecca.
Ma qual è il lato fatiscente che si nasconde dietro una terra di lusso, bellezza e ricchezza? Il leader di Italia Viva ed ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha definito il sistema culturale e politico saudita come la culla del neorinascimento, in un contesto di affari che lo vede coinvolto in quanto membro della fondazione Advisory Board, dell’Istituto Future Investment Initiative, fondata nel 2020 dal Re Salman per ristabilire l’immagine della Dinastia monarchica “Le Sette Dighe” - nata nel 1935 e che da 86 anni regna incontrollata nella penisola - con due obiettivi: promuovere gli interessi dinastici attraverso le lobby e “intermediari”, di cui Matteo Renzi fa parte, e imporre giuridicamente l’Islam a tutti i cittadini contrastando gli oppositori con la violenza.
È proprio sul secondo obiettivo che si fonda la legge saudita, priva di vere e proprie norme giuridiche e mossa dal Corano e dalla Sunna, basata sull’applicazione della Sharia e sul diritto consuetudinario, trasmesso oralmente per tradizione, norme che riconoscono all’Arabia Saudita il primato per l’applicazione più rigida della legge islamica. Crimini come omicidio, stupro, rapina armata, traffico di droga, stregoneria, adulterio, sodomia, omosessualità, apostasia, terrorismo, tradimento, spionaggio, reati militari e oppositori politici oggi sono ancora puniti con la pena di morte. Come risaputo, sono centinaia i Paesi in cui vige la pena di morte, persino quelli più democratici come gli Stati Uniti eppure, lo scenario più inquietante lo offre proprio il regno saudita in cui, nella data memorabile del 13 marzo 2022, sono state eseguite ben 81 condanne a morte. A tal proposito, Lynn Maalouf, vicedirettrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International, sostiene che “Queste esecuzioni sono tanto più allarmanti se si considera il sistema giudiziario saudita, che consente di emettere condanne a morte a seguito di processi gravemente irregolari e basati su ‘confessioni’ estorte con la tortura”. Processi iniqui ed estorsioni illecite prive della difesa del condannato sono alla base del sistema giudiziario saudita che mette letteralmente alla gogna tutti i dissidenti politici e commettitori di crimini, secondo un principio ugualitario che non ammette distinzione di ceto sociale, età, sesso e genere. Alle 81 condanne della scorsa settimana, infatti, se ne aggiungono altre 30 programmate in questi giorni, tra cui quella di Abdullah al-Huwaiti, minorenne condannato per rapina con mano armata e Hassan al-Maliki, accademico arrestato in quanto sostenitore della corrente islamica Tafkira incentrata sulla corretta lettura del Corano che deve rispondere di 14 imputazioni, membri prominenti della famiglia reale e altre centinaia di persone.
Contrariamente alle dichiarazioni del Principe e delle autorità saudite, le esecuzioni mortali della Penisola sono estese a tutti i crimini e a tutte le età, ledendo diritti umani insiti e acquisiti dopo anni di lotte e che rendono l’Arabia Saudita uno dei paesi mondiali dove si può parlare di genocidio di massa da parte del Regno. Una situazione politica, sociale e umana che opera da anni nel silenzio più totale della stampa e delle istituzioni mondiali che, invece di condannare, mettono in risalto un Paese che offre tanto in termini geopolitici ed economici ma che risplende grazie al sangue che disperde nelle sue terre attraverso accordi, coalizioni e leggi divine.
Rubrica sportiva
La guerra in Ucraina combattuta dal mondo dello sport
di Alessia Pina Alimonti
La contesa tra Russia e Ucraina non si combatte solo con i carri armati e le bombe molotov, a scendere sul terreno di guerra non sono solo i soldati e, purtroppo, i civili, ma anche il mondo dello sport e gli sportivi. Sono state molte, infatti, le iniziative a favore della pace organizzate da squadre di calcio o da giocatori; le federazioni calcistiche e di automobilismo non sono rimaste indifferenti al conflitto e hanno dato il loro contributo, senza dimenticare come tempi e dinamiche dello sport abbiano influito sugli sviluppi bellici.
Ancor prima che il conflitto iniziasse, quando Russia e Ucraina si lanciavano ultimatum, l’apertura dei Giochi olimpici invernali di Pechino è stato il momento in cui Xi Jinping si è alleato con Putin. In quell’occasione i due leader hanno proclamato che «non ci sono limiti nelle relazioni tra Cina e Russia». Hanno diffuso un comunicato congiunto per assicurare che condividono la posizione di Mosca nella questione ucraina, ribadendo che «Russia e Cina si oppongono a un ulteriore allargamento della Nato e alla sua mentalità da Guerra fredda». Accordo che ha avuto le sue conseguenze nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In questo caso è stata approvata a larga maggioranza una risoluzione umanitaria sostenuta dai paesi occidentali. A favore hanno votato 140 paesi, 5 i contrari (Russia, Siria, Bielorussia, Eritrea, Nord Corea) e 38 i paesi astenuti, tra i quali proprio la Cina. Le Olimpiadi hanno, in qualche modo, deciso la data di avvio delle ostilità: il 20 febbraio sono finiti i giochi ed è, quindi, terminata la tregua olimpica, poco dopo, il 24 febbraio si è assistito all’invasione russa dell’Ucraina.
Con la guerra appena esplosa il mondo dello sport ha subito reagito. Le decisioni più immediate sono state la cancellazione di eventi in Russia e l’estromissione dai tornei dei team russi. Per quanto riguarda il calcio, la finale di Champions League in programma a San Pietroburgo il 28 maggio è stata spostata a Parigi allo Stade de France. La Russia non parteciperà ai prossimi Mondiali di Qatar 2022, lo Spartak Mosca non continuerà il suo percorso in Europa League. Infine, la UEFA ha deciso di porre fine alla partnership commerciale con Gazprom, il colosso statale del gas russo. Il Gran Premio di Russia di formula 1 non si correrà, la gara in programma a Sochi il 25 settembre sarà cancellata dal calendario 2022.
Nella Formula 1, inoltre, la scuderia Haas ha licenziato il pilota russo Nikita Mazepin e ha rescisso il contratto con lo sponsor principale, l'azienda chimica Uralkali, di proprietà del padre dello stesso Mazepin. Nel comunicato delle Haas si legge: «siamo colpiti e rattristati dall'invasione dell'Ucraina e speriamo in una veloce e pacifica conclusione del conflitto». Colpito simbolicamente lo stesso Putin, in quanto la federazione internazionale di judo ha "sospeso" il presidente russo, cintura nera e grande appassionato di questo sport, dalla sua carica di presidente onorario dell'organismo.
Personalità appartenente al mondo dello sport e coinvolta nelle vicende e negli effetti bellici è Roman Abramovich. Il patron della squadra di calcio del Chelsea è stato colpito dalle misure del governo di Boris Johnson. L’oligarca russo, secondo le stime Forbes del 2020, è l’uomo più ricco d’Israele (Abramovich ha anche la cittadinanza israeliana) e il 113° al mondo. L’imprenditore ha subito il congelamento di tutti i suoi asset, compreso il suo enorme patrimonio immobiliare. In quanto presidente del Chelsea, è stata bloccata la vendita del club londinese, inoltre, è stata proibita la distribuzione dei biglietti per le partite (allo stadio potrà accedere solo chi ha l'abbonamento). Zelensky, però, ha chiesto che Abramovich non sia sanzionato, poiché potrebbe essere un valido mediatore, il presidente del Chelsea, infatti, ha origini ucraine da parte materna. Secondo il Financial Time, lo stesso Putin ritiene che l’oligarca possa avere un ruolo come mediatore.
Per il quotidiano inglese, l’imprenditore russo avrebbe incontrato a fine febbraio un funzionario di Kiev, molto vicino a Zelensky, subito dopo l’approvazione di Mosca, per avviare i colloqui tra le due parti. Nella mattinata di giovedì 24 marzo, il portavoce del Cremlino, Dimitry Peskov, ha confermato il coinvolgimento di Abramovich nelle trattative, senza però chiamare direttamente in causa il presidente. Il patron del Chelsea, secondo Peskov, avrebbe avuto un ruolo solo nelle fasi iniziali dei negoziati.
Spesso sottovalutato, spesso ritenuto un mero momento di svago, lo sport non è solo sana competizione. Lo sport, e la guerra in Ucraina ce lo sta confermando, può avere una grande importanza nelle decisioni politiche ed economiche. Non chiamatela una semplice competizione se poi è in grado di influire sulle sorti di un conflitto.