Due sono il numero di volte nelle quali mi sono concessa di andare al mare.
No, il mio secondo nome non è Stachanov. Forse sto invecchiando e mi porto già dietro le prime intolleranze da anziana signora che non sopporta il caldo. Oppure mi dico che l’acqua è sporca e farsi il bagno diventa una tortura con il rischio di uscire dall’acqua più stressata di prima. Credo che l’assoluta verità sia che, finché non andrò in ferie, con il cervello staccato, difficilmente riuscirò a godermi una giornata di mare.
A parte me e a parte la mia insofferenza alle alte temperature, quelle volte in cui mi sono concessa il lusso di rilassarmi sotto l’ombrellone, non ho potuto fare a meno di osservare i vari rituali che per certi versi sono anche i miei, dei miei compagni bagnanti della domenica.
Partiamo dall’ombrellone che già piantarlo nella sabbia è un’arte sopraffine. I più esperti, danno tutto di braccia e botta di reni, gli altri vantano coni avvitatori, che il più delle volte rimangono l’incognita della giornata, quel quesito pratico da test d’ingresso in medicina che nessuno sa risolvere e che non puoi copiare. Una volta piantato l’ombrellone, si ricopre con una catasta di borse frigo, scarpe e quant’altro a mo’ di fissativo. Il secondo e ultimo step riguarda l’ aprire seggiole, lettini e teli e fissare sotto l’ombrellone la propria residenza per il resto della giornata.
È durante la golden hour (l’ora dorata) quella che precede il tramonto del sole, esattamente dalle 18.30 alle 20, che iniziano i veri e propri rituali da ombrellone, anche perché è l’ora in cui si ricomincia a respirare quella brezza marina ricca di iodio e a lasciarsi alle spalle l’afa.
Tra i tanti rituali, c’è chi si concede il pisolino, chi si gode inebetito gli scambi a racchettoni degli iperattivi da battigia e poi ci sono quelli che leggono o meglio ci provano senza farsi venire una paralisi. Sono gli incalliti del libro, quelli che non girano mai senza, che li vedi stesi sui teli sotto l’ombrellone con le braccia tese tenendo il libro a centimetri e centimetri di distanza dalla vista, (molto dipende dalla lunghezza delle braccia) con le mani bianche, prive di sangue, indolenziti e formicolanti o quelli che sono stesi su un fianco o ancora quelli che tengono le braccia con i gomiti piegati e il libro poggiato sulla pancia. L’incallito del libro in spiaggia è quella specie che sta diventando rara e che si riconosce subito dal modo in cui guarda e invidia il suo peggior nemico: l’accanito di parole crociate. L’incallito guarda l’accanito e lo invidia terribilmente perché seduto comodamente sotto l’ombrellone, si gode le sue pagine; l’incallito guarda l’accanito un po’ come un fumatore guarda un non fumatore e lo invidia profondamente perché lui riesce a vivere senza essere dipendente da qualcosa, riesce a vivere sereno, non è frenetico. Non so se rendo l’idea; l’accanito di parole crociate è quell’individuo uomo o donna che sia che è in pace con il mondo, non deve combattere con i granelli di sabbia ficcati tra le pagine o con le posizioni scomode.
E qui veniamo al dunque. Il mondo delle parole crociate, ahimè, non è per tutti o meglio lo è, ma a una condizione: le parole crociate si fanno con la PENNA!
C’è chi non è dello stesso parere, gli insicuri delle parole crociate si riconoscono per la matita con gommino incorporato e qualcuno, addirittura, con l’edizione mensile che riporta le soluzioni a fine pagina. Il vero cruciverbista si reca in edicola per la sua versione cartacea settimanale, armato di penna a sfera, sedia a sdraio, la fantastica sedia a sdraio quella che ricorda la sedia del regista, con le asticelle in legno spesso e il fondo di tela e  dopo aver piantato l’ombrellone, affonda, nella sua sfida intellettuale, nelle pagine quadrettate con gli occhiali  calati sul naso, per riaffiorare solo dopo poche ore, soddisfatto e sereno pronto per un bagno rigenerante, lasciandosi alle spalle l’incallito di libri ancora steso a terra, prima a pancia in su poi in giù, nevrotico come sempre e il cruciverbista insicuro impiastrato di residui di gomma da cancellare.