COSE. Il fascino dell'orizzonte montano
Cose viste e vissute dal mondo. A cura di Chiara Rebeggiani
C’è stato un tempo, piuttosto lungo della mia vita, dove ho odiato profondamente la montagna.
I dislivelli, le selle, le croci in cresta che vedi sempre minuscole e che non arrivano mai. Il trekking era ed è ancora oggi la passione di mio padre che mi è stata tramandata un po’ per forza già prima di entrare nella ribellione adolescenziale, un metodo, il suo, sicuramente disapprovato dalla psicologia moderna che però ha avuto un esito positivo maturato con il tempo. Potrei scrivere un libro su quello che mi ha regalato la montagna in tutti questi anni: fatica, pianti isterici, crisi di panico in vetta, panorami stupendi, neve in alta quota, sonnolenza da mancanza di ossigeno, ustioni e quant’altro, tutte cose che nel bene e nel male hanno lasciato un segno sulla mia pelle e dentro di me.
Sono dell’idea che la montagna deve essere vissuta in prima persona. E sono anche dell’idea che esistono diverse modalità di approccio alla montagna. Ecco forse la modalità wild tramandatami da mio padre la eviterei e comincerei con un approccio più soft. Il trekking in montagna non è cestino da picnic e scarpe da ginnastica. È sudore, pazienza, costanza, forza di volontà e si mangia solo una volta raggiunta la vetta.
Fortunatamente non è solo questo è molto di più in positivo. La Cosa che vi racconto oggi è maturata in un momento qualsiasi della giornata in cui oppressa dalla monotonia dei mesi di febbraio e marzo, che a mio dire sono quell’impasse orribile tra le feste natalizie e quelle pasquali, ho sentito forte il desiderio di staccarmi da tutto e rifugiarmi in montagna a contatto con la natura e con il silenzio.
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