CONTROCULTURA. Al passo con i Jones. Dalla money dysmorphia ai guru del trading online: Perché siamo così ossessionati dai soldi?
Approfondimenti e riflessioni su attualità, costume e società, a cura di Amina Al Kodsi
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Secondo una recente indagine, pubblicata a gennaio di quest’anno, dal Credit Mark, il 29 % degli americani avrebbe una percezione falsata delle proprie finanze. Il fenomeno, a cui è stato dato il nome di Money Dysmorphia, porterebbe gli individui che ne sono affetti, a confrontare la propria situazione finanziaria con quella degli altri. Il paragone genererebbe sentimenti di insicurezza ed inadeguatezza, indipendentemente da quale sia l’effettiva realtà della propria condizione economica. La dismorfia monetaria colpirebbe maggiormente le fasce più giovani della popolazione. A soffrirne, secondo lo studio, sarebbe circa il 43 % della Generazione Z ed il 41% dei Millenials. Un preoccupante 59% dei Millenials afferma di sentirsi indietro rispetto agli altri in termini finanziari. I più giovani sono anche quelli maggiormente ossessionati dal concetto stesso di ricchezza. Circa il 45% della Generazione Z e dei Millennial sarebbe tormentato dall’idea di diventare ricco (rispettivamente il 44% e il 46%). In realtà quello della dismorfia monetaria, sebbene si sia acuito negli ultimi anni per via dell’inflazione e del precariato lavorativo che hanno minato non solo il potere d’acquisto, ma anche la fiducia di milioni di consumatori, è un fenomeno tutt’altro che contemporaneo. Potremmo dire che esso affonda le sue radici nell’avvento stesso della società dei consumi nella quale viviamo. Una società che ha decisamente gonfiato le nostre aspettative circa ciò di cui abbiamo davvero bisogno per poterci sentire sicuri finanziariamente. Come affermato da Courtney Alev, sostenitrice finanziaria dei consumatori presso Credit Karma, la dismorfia monetaria non sarebbe altro se non :
“la versione odierna di stare al passo con i Jones”.
Al passo con i Jones
Stare al passo con i Jones è un vecchio modo di dire, estremamente diffuso nel mondo anglosassone, che si riferisce al paragone costante con il proprio vicino di casa come punto di riferimento circa la propria posizione all’interno della società. L’espressione trae origine dal fumetto Keeping up with the Jones creato da Arthur R. Pope Normand nel 1913.
Il fumetto, pubblicato fino al 1940, raccontava la scalata sociale di Aloysius P. McGinnis, la cui moglie era ossessionata dalla necessità di mantenere il passo con i loro vicini di casa benestanti, la famiglia Jones per l’appunto. Il goffo tentativo della famiglia McGinnis di essere all’altezza degli abbienti vicini non è altro se non l’espletazione di quella che in sociologia viene definita la pratica del “consumo ostentativo”, anche detto “consumo vistoso”. Il termine venne coniato dal sociologo ed economista Thorstein Veblen nel 1889 nel saggio La teoria della classe agiata per spiegare l’acquisizione da parte dei consumatori di beni e servizi di lusso come manifestazione pubblica di prestigio e di potere economico. Il consumatore vistoso ostenta i propri acquisti con lo scopo di raggiungere o di mantenere un determinato status sociale. Con l’avvento del digitale e dei social “stare al passo” per ottenere l’ammirazione ed il riconoscimento altrui attraverso l’ostentazione di beni, è diventato sempre più estenuante. I confini di quella che un tempo era una meschina battaglia fra vicini di casa, si sono decisamente allargati ed il confronto con i numerosi “Jones” digitali dai quali siamo costantemente circondati si rivela una battaglia persa in partenza. Inoltre, tanto maggiore sarà l’esposizione a milioni di “Jones” digitali più fortunati, o supposti tali, di noi, quanto più grande sarà l’insoddisfazione naturalmente. Il confronto costante con gli altri, secondo gli esperti, ci condanna oltre che all’insoddisfazione eterna, anche all’adozione di comportamenti pericolosi per le nostre finanze e per il nostro benessere psicologico. L’esposizione prolungata a stili di vita molto al di sopra delle nostre possibilità potrebbe portarci a praticare una frugalità eccessiva, determinata da una sottostima della nostra effettiva condizione finanziaria, oppure al contrario, a contrarre debiti o a intraprendere investimenti sconsiderati. Pur di diventare i nuovi Jeff Bezos, in molti sono disposti ad affidarsi a sedicenti coach finanziari e guru del trading online che promettono, dopo aver pagato costosi corsi di formazione, di regalare ai propri clienti la libertà finanziaria che avevano sempre sognato ( vi consiglio di scappare quando sentite queste parole.)
L’ ultima frontiera del proibito
Oltre che simbolo di prestigio, la verità è che la ricchezza, esercita un fascino irresistibile per motivi che vanno al di là della mera approvazione sociale. L’accumulazione di grandi ricchezze, legata a quel misterioso processo di procreazione incestuoso attraverso il quale il capitale si genera da se stesso, rimane uno degli ultimi, grandi misteri insondabili per l’uomo comune che, nel tentativo di accedere all’olimpo dei grandi Cresi contemporanei, è pronto a scandagliare ogni sorta di manuale di pseudo-finanza. I titoli dei libri più venduti in questo settore, “Come pensano i ricchi” , “Padre ricco padre povero: quello che i ricchi insegnano ai figli sul denaro” dimostrano quanto la formula per la ricchezza venga considerata alla stregua di una complicata formula alchemica che i grandi magnati dell’alta finanza tramandano in segreto alla propria prole. Secondo quanto affermato dallo scrittore argentino Hernan Diaz, in un’intervista rilasciata a Vanity Fair, sarebbe proprio la “natura arcana, oscura e quasi esoterica dell’alta finanza” ad attirare la morbosa attenzione dell’uomo comune. Diaz, autore di Trust, vincitore del premio Pulitzer per la narrativa nel 2023, nel suo libro racconta l’epopea di Andrew Bevel, il più ricco finanziere degli Stati Uniti, regalandoci una delle più vivide rappresentazioni del rapporto fra denaro e potere nella società occidentale odierna. Il libro indaga in maniera magistrale le ragioni del feticismo che gli americani, ed in generale la società capitalistica stessa, hanno sviluppato nei confronti del denaro. Il denaro, oltre a rappresentare per Diaz uno degli ultimi taboo della società contemporanea, risponderebbe a dinamiche ancestrali e tribali che regolano ancora in maniera significativa il nostro modo di pensare e di agire. Come le tribù attribuivano poteri magici ad amuleti ed oggetti di varia natura, nella società dei consumi attuale il concetto stesso di divinità sta trovando la sua sostituzione nel feticismo del denaro. Più precisamente nella convinzione che il denaro porti felicità, realizzazione e che sia dotato di una sorta di volontà e di un’esistenza trascendentale. D’altra parte il livello di astrazione che viene raggiunto nell’alta finanza conferisce ad essa quasi una connotazione metafisica. Un livello di astrazione che la rende volutamente incomprensibile per i comuni mortali, come sostenuto da Diaz. Oltre a questo, c’è da aggiungere un grande immobilismo in termini di politiche economiche, volto a preservare lo status quo dei grandi ricchi.
Come afferma Diaz le politiche economiche della destra conservatrice americana degli anni 20 sono rimaste pressoché uguali a quelle del 2020.
Il Partito repubblicano continua a sostenere le stesse idee: nessuna regolamentazione, agevolazioni per le grandi imprese, nessuna sicurezza e beneficio sociale, tariffe elevate e protettive, isolazionismo, tagli alle tasse per i ricchi.
Ma allora, se il sistema è stato volutamente “creato” per essere incomprensibile e per auto-preservarsi attraverso politiche economiche conservatrici a tutela dei super ricchi, perché ostinarsi? Per Diaz, oltre all’irresistible tentazione di sdoganare l’ultimo taboo, ci sarebbe pura ed infantile avidità. Un’avidità che il capitalismo moderno ha razionalizzato e sistematizzato, eleggendo il denaro a feticcio e surrogato di ogni altro desiderio ed ambizione.